Elena
Bachi
Bachi
Nome
Elena
Cognome
Bachi
Sesso
F
Attività partigiana
Matricola
Ruolo
Note
Note biografiche
Moglie di Roberto Levi, conosciuto a casa del cugino di lui, Primo Levi.
Salvataggio
Dopo l'arresto a Orta S. Giulio del marito Roberto Levi, essendo in una situazione di evidente grave pericolo venne aiutata a nascondersi. Il Podestà di Orta Gabriele Galli, da tempo attivo clandestinamente nel favorire l’espatrio in Svizzera degli ebrei, la indirizzò al viceparroco di Omegna don Giuseppe Annichini che, dopo averle procurato documenti falsi da cui risultava essere sua nipote, la nascose a Loreglia, in Val Strona.
Clandestinità-fuga
A Loreglia, dove venne raggiunta dai suoi genitori che si trovavano in Veneto, visse sotto falsa identità fino al termine della guerra, lavorando come catechista presso la locale scuola elementare.
Testimonianza
Testimonianza relativa all'eccidio di orta, scritta da Elena Bachi Levi e inviata al processo di Osnabrück.
Il giorno 15 settembre del ’43, tra le sedici e le diciassette, mi trovavo al caffè sulla piazza di Orta insieme a mio marito Roberto Levi, allorché arrivarono due camionette di SS Il nostro istinto di giovani fu quello di corre a casa pensando così di sfuggire a un possibile rastrellamento.
Poco dopo, mentre eravamo nella nostra camera, sentimmo aprirsi il portone e udimmo dei passi su per le scale. Di colpo capimmo che si trattava di militari che venivano a cercarci.
Non sapendo dove nasconderci, né pensando al peggio, dato che non avevamo, fino ad allora, avuto notizie di ricerche di ebrei da parte di tedeschi, appena ci fu detto che eravamo chiamati al piano inferiore, ci presentammo.
Ricordo due giovani SS prestanti, alti, dai capelli chiari….Il primo era molto distinto, il secondo sembrava un ragazzo bonario. Erano accompagnati da un interprete che non avevo mai visto, un uomo piccolo di mezza età…..La conversazione durò a lungo in modo cordiale……
Ad un cero punto dissero a mio marito di prepararsi ad andare con loro, perché dovevano interrogarlo in altro luogo e poi guardando me il più elevato in grado mi invitò a tenermi pronta anch’io. Ricordo che salii in camera a prendere la borsetta e un golf e ridiscesi; allora mi guardò nuovamente e mi disse “No, lei resti pure”.
Quindi con una certa noncuranza essi chiesero di mio suocero, il quale non era in casa e pregarono mio marito di andarlo a cercare.
Roberto andò e dopo un po’ ritornò affermando di non averlo trovato. Seppi in seguito che invece l’aveva raggiunto, rifugiato presso il podestà di Orta, che gli consigliò di far finta di non averlo visto.
Nel frattempo arrivò mia suocera….Le SS questa volta con più decisione invitarono Roberto a tornare alla ricerca del padre.
Nel timore di una rappresaglia contro noi donne, mio marito rientrò allora con lui.
Ci fu in seguito un’altra breve conversazione in seguito alla quale i tedeschi ordinarono ai nostri due uomini di andare con loro per essere ancora interrogati….Insistettero perché noi desistessimo dal seguirli e si avviarono in strada con i due uomini tra di loro…….
Il giorno dopo cercammo inutilmente i nostri cari a Fondotoce, Intra, Pallanza e poi ci recammo a Stresa dove, ci era stato detto, avremmo potuto trovare un presidio di SS.
Dopo aver chiesto a varie persone, qualcuno ci indirizzò all’hotel Regina dove parlammo con i direttori che ci cacciarono via. Avemmo la sensazione che ci fosse un’atmosfera molto tesa e che tutti avessero paura. Ci fu indicata allora la Villa Ducale.
Lì finalmente trovammo un reparto di SS. Un mucchio di soldati giovanissimi, allegri e cortesi ci si fece incontro. Raccontai a uno di loro che parlava un po’ di francese la nostra storia e questi mi consigliò di attendere il ritorno del suo superiore, che sarebbe rientrato alle tredici, oppure di ripresentarci per quell’ora.
Mentre stavamo uscendo dalla Villa Ducale fummo raggiunti da un padre rosminiano, che concitatamente ci chiese perché eravamo lì. Saputo di che cosa si trattava ci scongiurò di non farci più vedere. Ci disse che le SS avevano catturato degli ebrei….
Capimmo allora che non c’era più niente da fare per rivedere i nostri cari e che noi stesse eravamo in pericolo…..Di mio marito e di suo padre non si seppe mai più nulla.
Da allora mi arrovello al pensiero di che cosa sarà loro successo; mi sono chiesta mille volta perché non hanno voluto prendere anche noi donne, che pure abbiamo tanto insistito per seguire i nostri mariti.
Il giorno 15 settembre del ’43, tra le sedici e le diciassette, mi trovavo al caffè sulla piazza di Orta insieme a mio marito Roberto Levi, allorché arrivarono due camionette di SS Il nostro istinto di giovani fu quello di corre a casa pensando così di sfuggire a un possibile rastrellamento.
Poco dopo, mentre eravamo nella nostra camera, sentimmo aprirsi il portone e udimmo dei passi su per le scale. Di colpo capimmo che si trattava di militari che venivano a cercarci.
Non sapendo dove nasconderci, né pensando al peggio, dato che non avevamo, fino ad allora, avuto notizie di ricerche di ebrei da parte di tedeschi, appena ci fu detto che eravamo chiamati al piano inferiore, ci presentammo.
Ricordo due giovani SS prestanti, alti, dai capelli chiari….Il primo era molto distinto, il secondo sembrava un ragazzo bonario. Erano accompagnati da un interprete che non avevo mai visto, un uomo piccolo di mezza età…..La conversazione durò a lungo in modo cordiale……
Ad un cero punto dissero a mio marito di prepararsi ad andare con loro, perché dovevano interrogarlo in altro luogo e poi guardando me il più elevato in grado mi invitò a tenermi pronta anch’io. Ricordo che salii in camera a prendere la borsetta e un golf e ridiscesi; allora mi guardò nuovamente e mi disse “No, lei resti pure”.
Quindi con una certa noncuranza essi chiesero di mio suocero, il quale non era in casa e pregarono mio marito di andarlo a cercare.
Roberto andò e dopo un po’ ritornò affermando di non averlo trovato. Seppi in seguito che invece l’aveva raggiunto, rifugiato presso il podestà di Orta, che gli consigliò di far finta di non averlo visto.
Nel frattempo arrivò mia suocera….Le SS questa volta con più decisione invitarono Roberto a tornare alla ricerca del padre.
Nel timore di una rappresaglia contro noi donne, mio marito rientrò allora con lui.
Ci fu in seguito un’altra breve conversazione in seguito alla quale i tedeschi ordinarono ai nostri due uomini di andare con loro per essere ancora interrogati….Insistettero perché noi desistessimo dal seguirli e si avviarono in strada con i due uomini tra di loro…….
Il giorno dopo cercammo inutilmente i nostri cari a Fondotoce, Intra, Pallanza e poi ci recammo a Stresa dove, ci era stato detto, avremmo potuto trovare un presidio di SS.
Dopo aver chiesto a varie persone, qualcuno ci indirizzò all’hotel Regina dove parlammo con i direttori che ci cacciarono via. Avemmo la sensazione che ci fosse un’atmosfera molto tesa e che tutti avessero paura. Ci fu indicata allora la Villa Ducale.
Lì finalmente trovammo un reparto di SS. Un mucchio di soldati giovanissimi, allegri e cortesi ci si fece incontro. Raccontai a uno di loro che parlava un po’ di francese la nostra storia e questi mi consigliò di attendere il ritorno del suo superiore, che sarebbe rientrato alle tredici, oppure di ripresentarci per quell’ora.
Mentre stavamo uscendo dalla Villa Ducale fummo raggiunti da un padre rosminiano, che concitatamente ci chiese perché eravamo lì. Saputo di che cosa si trattava ci scongiurò di non farci più vedere. Ci disse che le SS avevano catturato degli ebrei….
Capimmo allora che non c’era più niente da fare per rivedere i nostri cari e che noi stesse eravamo in pericolo…..Di mio marito e di suo padre non si seppe mai più nulla.
Da allora mi arrovello al pensiero di che cosa sarà loro successo; mi sono chiesta mille volta perché non hanno voluto prendere anche noi donne, che pure abbiamo tanto insistito per seguire i nostri mariti.