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Ettore
Ovazza

51 anni

Nome
Ettore
Cognome
Ovazza
Sesso
M
Luogo di nascita
Torino
Data nascita
21 marzo 1892
Padre
Ovazza Ernesto
Madre
Malvano Celeste
professione
Banchiere
Luogo di morte
Verbania, Intra (VB)
Data della morte
10 ottobre 1943
Attività partigiana
Matricola
Ruolo
Note

Nella
Sacerdote
->moglie

Riccardo
Ovazza
->figlio

Elena
Ovazza
->figlia
[Biografia tratta da: LEVIS SULLAM SIMON, Ovazza, Ettore in Dizionario Biografico degli Italiani]

Nacque a Torino il 21 marzo 1892 da Ernesto e da Celeste Malvano, in una famiglia dell’alta borghesia ebraica.
Il padre era proprietario della banca Vitta Ovazza & C. (intitolata al nonno e fondata nel 1866), di cui Ettore, secondogenito, divenne socio gerente, assieme ai fratelli Alfredo e Vittorio.

Dopo gli studi nei licei classici D’Azeglio e Alfieri, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino nel 1912, recandosi l’anno seguente in Germania, a Friburgo, per apprendere la lingua tedesca e seguire studi di politica estera che, nelle sue intenzioni, avrebbero dovuto condurlo verso la carriera diplomatica. Gli anni universitari culminarono nella tesi di laurea dedicata a Il diritto internazionale e la conflagrazione europea. La proprietà privata (Torino 1915), che diede alle stampe quando era già stato mobilitato nell’esercito per l’intervento dell’Italia nella Grande Guerra. Combatté per 18 mesi in prima linea, ottenendo la Croce di guerra. Nel giugno 1918 venne chiamato al Comando supremo, dove svolse funzioni di segretario dello Stato Maggiore del generale Armando Diaz.

Nel dopoguerra assunse posizioni ultrapatriottiche e anticomuniste. Iscrittosi al fascio ufficiali combattenti in congedo il 15 giugno 1920, in seguito rivendicò di aver partecipato all’occupazione della Camera del lavoro di Torino e all’organizzazione per Torino della Marcia su Roma (Milano, Arch. del Centro documentazione ebraica contemporanea, Fondo Ettore Ovazza, Curriculum vitae), conducendo inizialmente l’attività politica sotto la guida del quadriumviro Cesare Maria De Vecchi e di Mario Gioda, fascista della prima ora. Una relazione prefettizia del 1928 lo definiva «uno dei più convinti e tenaci assertori delle nuove idee» fasciste fin dal dopoguerra (Roma, Arch. centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario, f. Ettore Ovazza).

Questo non esclude una fase di graduale transizione verso l’adesione esclusiva al fascismo: tra le sue carte si trova una tessera di iscrizione al Partito liberale, datata 24 febbraio 1923; inoltre, nel dicembre 1924, si trovava in corrispondenza con il senatore Francesco Ruffini, noto antifascista, a proposito delle «limitazioni per gli acattolici» nel decreto sulla stampa, corrispondenza in cui pure Ovazza confermava la propria fiducia «nel radioso avvenire del nostro Paese» (Fondo Ettore Ovazza, cit., lettere di Ruffini, 9 dicembre 1924, e di Ovazza, 12 dicembre 1924).

Nell’immediato dopoguerra sposò Nella Sacerdote, anch’ella di famiglia ebraica altoborghese e sua cugina prima; da questa unione nacquero i figli Riccardo e Elena.

Nell’ottobre 1925 fu nominato corrispondente da Torino del quotidiano L’Impero. Alcuni mesi più tardi ricevette l’elogio dei direttori Mario Carli ed Emilio Settimelli per un’intervista con il principe ereditario (la famiglia Ovazza era vicina agli ambienti della corte torinese). La collaborazione tuttavia cessò con le dimissioni nell’aprile 1927, ufficialmente presentate da Ovazza a causa dell’eccesso dei suoi impegni; ma un appunto manoscritto da lui stesso apposto sulla lettera di accettazione delle dimissioni rivelerebbe che queste vennero date «in seguito ad attacchi all’Ebraismo» (ibid., lettere di nomina, 6 ottobre 1925, di Carli e Settimelli, 5 aprile 1926, di Ovazza, 27 aprile 1927).

Il suo referente politico principale tra secondi anni Venti e primi anni Trenta fu Dante Tuninetti, segretario federale della Cirenaica e in seguito commissario del partito fascista in Trentino, direttore di Cirenaica italiana e Il Brennero, testate a cui non mancò la collaborazione – e probabilmente il sostegno economico – di Ovazza. Grazie a questa collaborazione, che in colonia si concretizzò anche con la donazione di piccole biblioteche ambulanti per i soldati, Ovazza ottenne alcuni riconoscimenti tra cui la nomina a cavaliere dell’ordine coloniale della Stella d’Italia (ibid., lettera di nomina, 28 dicembre 1934).

Fin dal 1915 Ovazza aveva dato prova di interessi letterari stendendo una romanza per le musiche dell’amico compositore Lorenzo Perigozzo, per il quale scrisse versi anche in altre occasioni; nel 1922 raccolse alcune prove poetiche nella collezione di liriche Ghirlande (Milano 1922; Pinto, 2011, p. 70). Nel 1921 pubblicò a Milano il dramma teatrale L’uomo e i fantocci che nel corso del 1922 fu rappresentanto dal fascio di Sesto San Giovanni – in un teatro vigilato dai carabinieri – probabilmente con intento di provocazione nell’atmosfera surriscaldata dell’anno della Marcia su Roma (fu nuovamente messo in scena nel decennale della Marcia al Teatro Vittorio Emanuele di Torino).

Il dramma verteva sulle difficoltà e delusioni esistenziali incontrate nel dopoguerra da un giovane combattente, mutilato e privato del suo amore precedente il conflitto. L’ultimo atto fu riscritto da Ovazza nel 1925 per esaltarne le conclusioni, facendole culminare con la Marcia su Roma.

Molto più consistente fu l’attività di «brillante giornalista e scrittore fascista» (così era definito in una relazione del prefetto di Torino del 16 luglio 1928; Roma, Arch. centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario, f. Ettore Ovazza; egli stesso si definì più volte scrittore fascista), iniziata con la collaborazione a L’Eco d’Italia, giornale torinese fondato nel 1922, che Ovazza contribuì a finanziare. La sua prova letterariamente più riuscita, e anche la più rivelatrice dei suoi sentimenti politici intrecciati a quelli familiari, fu senz’altro il Diario per mio figlio (Torino 1928), serie di annotazioni a partire dal 1923, intessute di riferimenti patriottici, di considerazioni storiche sul Risorgimento, di elogi della patria fascista.

In uno dei passaggi più emblematici di tutto il suo percorso e destino, Ovazza scrive rivolgendosi al figlio: «Queste grandi parole: religione, politica, nel cammino della tua vita tu le troverai ad ogni passo; saranno due grossi tronchi d’albero che ogni tanto ti sbarreranno la via» (pp. 86 s.). Questi due fattori non costituirono degli occasionali ostacoli nella vita di Ovazza, ma furono fuochi centrali della sua vicenda e infine ne segnarono tragicamente l’esistenza.

Ovazza ebbe almeno due incontri personali con Mussolini: nel maggio 1929, quando fu a capo di una delegazione che consegnò al duce un volume sugli israeliti italiani caduti in guerra, e nel giugno 1932, quando gli presentò personalmente un volume di lettere sulla guerra mondiale che gli erano state indirizzate da Paolo Boselli.

Fin dal dopoguerra si era espresso in modo aspramente critico contro il sionismo, una linea che mantenne ferma e anzi radicalizzò negli anni, sintetizzando infine il proprio profondo dissenso nell’opera Sionismo bifronte (Roma 1935), raccolta di articoli apparsi in La nostra bandiera. Dal 1934 la situazione politica di particolare tensione creatasi nei confronti dell’ebraismo italiano, innanzitutto per le aspre critiche rivolte da settori del fascismo verso il movimento sionista, lo condusse a impegnarsi in prima persona nelle organizzazioni ebraiche: nel marzo di quell’anno l’arresto di un gruppo di antifascisti torinesi, risultati per lo più ebrei, fece gridare alla ‘combutta’ tra ebraismo e antifascismo e Ovazza, che si era posto in prima fila tra i più severi censori di questo gruppo, in un contesto di repressione e ritorno all’ordine fu brevemente chiamato a reggere da commissario governativo la comunità israelitica torinese (Fondo Ettore Ovazza, lettera del prefetto di Torino, 24 aprile 1934), dopo che il segretario federale di Torino gli aveva personalmente raccomandato, in un incontro seguito agli arresti, l’affermazione di una linea di assoluta fedeltà al regime (ibid., appunto manoscritto del federale Andrea Gastaldi, 31 marzo 1934).
L’impegno di Ovazza si concretizzò in quei mesi nella sua opera forse più nota e rappresentativa, la fondazione nel maggio del periodico, che si definiva ebraico e fascista, La nostra bandiera, espressione di una linea assimilazionista in termini religiosi, e recisamente antisionista in politica. Mentre si accentuava il controllo del Ministero dell’Interno, tra la fine del 1934 e il principio del 1935, tre membri del gruppo de La nostra bandiera, tra cui Ovazza, furono cooptati nel consiglio dell’Unione delle comunità israelitiche per sanare i conflitti interni all’ebraismo e rassicurare il governo. Ma già sei mesi più tardi Ovazza rassegnò le dimissioni (ibid., lettera di nomina, 9 gennaio 1935, e lettera in cui si respingono le dimissioni dal Consiglio, 2 maggio 1935).

Della polemica antisionista di Ovazza si servì Paolo Orano nel pamphlet antiebraico Gli ebrei in Italia (1937), nel quale prendeva a bersaglio anche gli ebrei fascisti come Ovazza, per la loro persistente separatezza e spirito di elezione. Nella replica di Ovazza (Il problema ebraico. Risposta a Paolo Orano, Roma 1938) si trovano la difesa della diginità ebraica e del contributo degli ebrei alla patria italiana e la critica della nuova propaganda antiebraica, assieme alla riaffermazione della propria completa adesione al fascismo. Le superstiti lettere di Orano a Ovazza dimostrano il persistere delle posizioni antiebraiche dello scrittore e uomo politico, ma anche la stima personale e l’impegno a favore di Ovazza: anche all’intervento di Orano presso Guido Buffarini Guidi, sottosegretario agli Interni, Ettore dovette il riconoscimento dello status di discriminato (Fondo Ettore Ovazza, lettere di Orano degli anni 1935-39, e lettere di Umberto Zuccucci della Casa Editrice Pinciana, 7 e 8 giugno 1939).

Le limitazioni imposte alle attività di Ovazza dalle leggi razziali del 1938 furono solo parzialmente attenuate dalla discriminazione della famiglia per meriti di guerra. Se, sopraggiunte le persecuzioni fasciste, egli aveva formalmente rinunciato all’iscrizione alla comunità israelitica di Torino, nell’ottobre 1939 chiese di esservi riammesso in quanto il suo «attaccamento alla Religione d’Israele» non si era «mai affievolito», mentre il suo precedente «distacco» era «avvenuto per un’affermazione nazionale italiana da cui ha esulato ogni motivo religioso» (Fondo Ettore Ovazza, lettera al presidente della Comunità Israelitica, 9 ottobre 1939).

All’indomani del Manifesto degli scienziati razzisti, Ovazza si era rivolto nuovamente a Mussolini con un’angosciata lettera, nella quale esprimeva la sua disperazione di fascista della prima ora, accettava dolorosamente le nuove posizioni del regime, ma chiedeva che agli ebrei venisse lasciata la loro «fiera e integra italianità» (Roma, Arch. centr. dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario, f. Ettore Ovazza, lettera del 15 luglio 1938). Ancora nel 1939 aveva pubblicato un volume (Guerra senza sangue. Da Versaglia a Monaco, Roma) in cui celebrava la politica di appeasement di Mussolini a Monaco, concentrandosi volutamente sulla politica estera del regime e nemmeno ora facendo venir meno il proprio sostegno e i propri intenti apologetici nei confronti del fascismo.

I successivi sviluppi furono tragici. In fuga da Torino verso la Svizzera, stabilitisi temporaneamente a Gressoney, gli Ovazza (Ettore, la moglie Nella e la figlia Elena) furono arrestati dalle SS tedesche il 10 ottobre 1943, condotti al comando tedesco di Intra sul Lago Maggiore e lì barbaramente uccisi, in uno dei primi eccidi nazisti nella penisola. Il figlio Riccardo fu tradito da una guida che avrebbe dovuto condurlo in salvo in Svizzera e anch’egli ucciso da tedeschi su suolo italiano.
Note biografiche

Nacque nel 1892 da Ernesto Ovazza e Celeste Malvano, esponenti di una prestigiosa famiglia della borghesia ebraica torinese. Dopo gli studi liceali, nel 1912 studiò giurisprudenza presso l’Università di Torino, con una parentesi a Friburgo, in Germania, l’anno successivo, per imparare la lingua tedesca e approfondire gli studi di politica estera, utili per la carriera diplomatica a cui aspirava. Si laureò nel 1915 con una tesi di diritto internazionale. Allo scoppio della Grande Guerra, si arruolò come volontario insieme al padre e ai fratelli, divenendo tenente d'artiglieria: 18 mesi di combattimento al fronte gli valsero il conferimento della Croce di guerra. Nel giugno 1918 entrò in servizio al Comando supremo, con il ruolo di segretario dello Stato Maggiore del generale Armando Diaz. Nel dopoguerra, intrapresa la professione di banchiere nell’azienda di famiglia, Ettore Ovazza avvertì il bisogno di un’azione politica, che si manifestò anche attraverso un’intensa attività pubblicistica e letteraria. Aderì fin dalla prima ora al fascismo, sinceramente convinto della sua necessità storica per la fondazione di una Nuova Italia. L’iscrizione al PNF avvenne nel marzo 1923, quindi dopo l’ascesa al potere del fascismo, tuttavia gli fu riconosciuto l’ambitissimo certificato della Marcia su Roma per il suo contributo alla fondazione del Fascio Torinese e all’insediamento di Mussolini nell'ottobre del 1922. Antisionista convinto, nel 1934 Ettore Ovazza fondò, insieme al generale Guido Liuzzi e al giornalista Deodato Foà, la rivista "La nostra bandiera", con il disegno politico di realizzare la piena fascistizzazione della comunità ebraica italiana. Cercò di arruolarsi volontario per la guerra d'Etiopia, ma non fu accettato per limiti d'età.

Leggi razziali

Come tutti gli ebrei, il “fascistissimo” Ettore Ovazza fu duramente colpito dalle leggi razziali. La legislazione antiebraica del 1938 - attenuata solo in parte dall’ottenimento della discriminazione, estesa poi a tutta la famiglia - lo costrinse a lasciare il PNF, a dimettersi da ogni incarico pubblico, ad accettare l’espulsione dei propri figli dalla scuola e imporrà la cessione, l’anno successivo, della banca di famiglia. Ettore Ovazza riteneva tuttavia ci fosse ancora margine per ottenere il favore del regime attraverso pubbliche dimostrazioni di fedeltà e l’assunzione di una posizione di distacco dal resto degli ebrei considerati ormai come nemici. Cercò quindi di convincere il resto della famiglia della necessità di sostenere, ora più che mai, il regime fascista. Secondo la testimonianza di Vittorio Segre (figlio del cugino di Ettore Ovazza Arturo Segre), nell’autunno del 1938 Ettore si presentò dal cugino nella sua villa a Govone (CN) per proporgli addirittura un’azione punitiva nei confronti della rivista Israel di Firenze, portavoce di idee avverse al fascismo. Arturo Segre si oppose fermamente alla proposta: non avrebbe mai attaccato i suoi correligionari per ingraziarsi un regime che li aveva traditi, lo considerava “un gesto da servi, non da uomini”. Il disaccordo politico tra Ettore e gli altri membri della famiglia era ormai evidente. Per effetto delle leggi razziali, alla fine del 1938 il movimento nato intorno alla rivista La nostra bandiera perse la sua autorevolezza e consistenza; l’italianità su cui faceva leva la rivista (che appunto si rivolgeva, lo si legge nel frontespizio, agli “Italiani di religione ebraica”) era legata a doppio filo a una profonda fede fascista, che ovviamente crollò con l’indiscriminata persecuzione decisa nel 1938. Come atto di protesta contro gli ebrei torinesi che non erano rimasti fedeli al fascismo, Ettore Ovazza si allontanò formalmente dalla Comunità ebraica della città. Intanto le leggi razziali avevano imposto a Ettore Ovazza e ai fratelli Alfredo e Vittorio di cedere la banca di famiglia, fondata nel 1866 dal nonno Rafael Vita Ovazza detto “Vitta”: l’iter di cessione della Banca Vitta Ovazza & C., trasformata in Banca Torinese S.A., si concluse nell’ottobre 1939. Dopo questo avvenimento Ettore Ovazza si riavvicinò alla Comunità ebraica di Torino, chiedendo di esservi riammesso in quanto il suo «attaccamento alla Religione d’Israele» non si era «mai affievolito», mentre il suo precedente «distacco» era «avvenuto per un’affermazione nazionale italiana da cui ha esulato ogni motivo religioso». Intanto di fronte all’aggravarsi della situazione, si susseguivano tra i membri della famiglia Ovazza consultazioni familiari per decidere cosa fare. Buona parte della famiglia si allontanò dal paese, gli stessi fratelli Vittorio e Alfredo, con le rispettive mogli e i figli, lasciarono l’Italia nel 1940 rispettivamente per gli Stati Uniti e l’Uruguay. Ettore Ovazza fu invece irremovibile nella decisione di rimanere a Torino con la moglie Nella Sacerdote e i figli Riccardo ed Elena, mantenendo un atteggiamento ostinatamente e inspiegabilmente ottimista addirittura dopo l’8 settembre 1943, quando la situazione per gli ebrei era al collasso. La fede cieca nel fascismo lo aveva indotto prima ad accettare la legislazione antiebraica, ora a rifiutare di lasciare l’Italia e di lì a poco lo porterà a morire tragicamente con la sua famiglia.

Arresto-detenzione

Arnaldo Levi Deveali, cognato dei coniugi Ovazza, nel dicembre 1949 riferì ai Carabinieri che Ettore Ovazza si decise a lasciare Torino solo il 24 o 25 settembre 1943 per trasferirsi a Gressoney (AO), dopo aver convertito parte dei suoi beni immobiliari in oro, gioielli, contanti e valuta straniera. La scelta di guadagnare una posizione che rendesse più facile un’eventuale fuga in Svizzera era motivata non tanto dalla preoccupazione per sé e le due donne di famiglia, quanto per la sorte del figlio ventenne Riccardo, in età di leva e quindi a rischio di essere fermato e interrogato. Gli Ovazza presero alloggio presso l’albergo Lyskamm. Il tentativo di fuga in Svizzera di Riccardo Ovazza, pianificato dal padre, si concluse con il suo respingimento da parte delle guardie confinarie elvetiche; Riccardo rientrò in Italia in treno e, arrestato alla stazione di Domodossola, venne scortato alla sede SS di Intra e lì assassinato. Il resto della famiglia Ovazza venne rintracciata grazie ai documenti sequestrati e alle informazioni estorte a Riccardo: la sera del 9 ottobre una pattuglia arrivò a Gressoney con un ordine di arresto per Ettore Ovazza, motivato dalla necessità di interrogarlo a proposito del possesso illegale di valuta straniera da parte del figlio. La mattina seguente Ettore Ovazza partì, moglie e figlia al seguito, con una macchina presa a noleggio guidata da tale Targhetta Doardo di Gressoney.

Morte

Ida Rusconi, custode delle scuole, rimasta in servizio durante l’occupazione tedesca dell’edificio, durante il processo celebrato a Torino nel 1955 fornì la testimonianza della tragica fine di Ettore, Nella ed Elena: “Verso le 13 vidi questi catturati che uscivano dall’ufficio del Meir; più tardi li vidi ricaricare su di un camion assieme a tutte le valigie ed ivi rimasero fino alle ore 18”, circostanza determinata dall’ordine, poi revocato, di partenza del reparto. “Fu fatto scendere prima l’uomo e accompagnato di nuovo nell’ufficio comando”; lo vide per l’ultima volta mentre veniva trascinato in cantina da un militare tedesco “con la pistola puntata alla tempia”, mentre supplicava di essere risparmiato; poi uno sparo. Subito dopo, seguendo lo stesso copione criminale, vennero eliminate le due donne, Nella di 41 anni e la figlia Elena appena quindicenne. “Nella notte i tedeschi ebbero molto da fare: si trattava di distruggere e di far sparire tre corpi di notevoli dimensioni – continua la Rusconi - […] per tre giorni il comignolo della scuola emise fumo e odore di carne bruciata. La corretta supposizione della Rusconi sulla loro sorte trovò conferma non solo nel consiglio dell’interprete Marini di tacere sull’accaduto, ma soprattutto nel rinvenimento, il giorno successivo, di resti di ossa umane nella caldaia."

Questioni aperte
Da "Il libro della memoria" e dal testo di Toscano risulta ucciso l'11/10/1943.
Riferimenti bibliografici

Aldo Toscano, L'olocausto del Lago Maggiore (settembre-ottobre 1943), Alberti, Verbania, 1993; Marco Nozza, Hotel Meina, Mondadori, 1995; Liliana Picciotto, Il libro della memoria, pg. 842, Mursia, 2002; La strage dimenticata. Meina, settembre 1943. Il primo eccidio di ebrei in Italia, Interlinea, 2003; (a cura di B. Mantelli e N. Tranfaglia), Il libro dei deportati, vol. II, Mursia, 2010; Lorenzo Camocardi, Gianmaria Ottolini, Even 1943 (DVD), Verbania, 2010; Centro di documentazione ebraica contemporanea, www.nomidellashoah.it; https://it.wikipedia.org/wiki/Ettore_Ovazza (Ultima consultazione 28/2/2018); https://www.academia.edu/3892232/Lebreo_fascistissimo_._Il_fascismo_ingenuo_estetico_e_sentimentale_di_Ettore_Ovazza_1892-1943_; Marzia Angeletti, Ettore Ovazza (1892-1943), un ebreo ad oltranza. Gli scritti letterari di Ettore Ovazza. Tesi di laurea, Università degli studi di Trento, 2005.