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Sisa
Tabet Lopez



Nome
Sisa
Cognome
Tabet Lopez
Sesso
F
Luogo di nascita
Livorno
Data nascita
8 ottobre 1885
Padre
Tabet Cesare
Madre
Belimbau Clementina
professione
casalinga
Luogo di morte
Milano
Data della morte
giugno 1975
Attività partigiana
Matricola
Ruolo
Note

Sabatino
Lopez Nunes
->marito

Guido
Lopez Nunes
->figlio
Nasce a Livorno l’8 ottobre 1885 da Cesare e Clementina Belimbau. Il 22 dicembre 1909 si unisce in matrimonio con il noto commediografo Sabatino Lopez; dalla loro unione nascerà nel 1910 Roberto Sabatino che diverrà apprezzato storico dell’economia medievale e docente presso la Yale University e successivamente, nel 1924, Guido, poi noto scrittore e giornalista milanese. Ha scritto un Diario della avventurosa fuga in Svizzera con il marito nel dicembre 1943 e, negli ultimi anni, alcuni racconti di rievocazione della Livorno di fine ottocento. Muore nel giugno 1975 a Milano.
Salvataggio

Testimonianza scritta del nipote Fabio Lopez Nunes

“…Volevo con questa mia aggiungere una testimonianza diretta dell'episodio che ha coinvolto i miei nonni Sabatino Lopez e Sisa Tabet il 15 settembre 1943, affinché possiate integrare le vostre conoscenze e l'esposizione degli eventi.

Premetto: Sabatino Lopez era persona a quel tempo piuttosto nota come commediografo le cui opere -fino al '38- erano sui cartelloni di tutti i teatri italiani, come già direttore della Società degli Autori prima e preside poi della Accademia di Brera. Nel ’43 erano sfollati ad Arona con mio padre diciannovenne e lì erano alloggiati all'albergo Italia in piazza lungolago. Lì erano stati accolti anche da Gianfilippo Usellini, pittore, antifascista, ex allievo suo e mio padre Guido aveva iniziato a collaborare clandestinamente (in quanto ebreo) con casa Mondadori, i cui dipendenti alloggiavano nel medesimo albergo. Quanto vi racconto è pubblicato sul volume da me curato "Finché c'è carta e inchiostri c'è speranza" per i tipi di Mursia, che raccoglie gli scritti di mio padre, il suo diario della vicenda e quello di mia nonna Sisa. 

Il 15 settembre vennero avvisati da un ciclista proveniente da Meina (credo da villa Jarach) che le SS stavano arrivando per prelevarli. Erano anziani (mio nonno era nato nel 1867). Disse loro che sarebbe stato impossibile fuggire, li avrebbero individuati immediatamente; gli suggerì di sedersi sulla panchina di fronte in lungolago e leggere il giornale facendo finta di niente. E così fu. Con una paura tremenda videro arrivare la camionetta, le SS salire in camera loro, grande trambusto, scendere e riprendere il percorso. Nella camionetta c'erano già altre persone fra cui, ricordo, mi citò mia nonna i Cantoni; non fecero alcun cenno di riconoscimento reciproco, entrambi sapevano cosa c'era in gioco. Non videro mai più quelle persone, come sapete.

Il giorno dopo lasciarono Arona, affidarono le loro cose a Usellini, e salirono a Premeno dove mio padre era ospite di Evaristo Calvi. Da lì il 19 settembre scesero a Intra; presero il traghetto e mio padre iniziò la sua avventura per passare in Svizzera. I nonni tornarono a Milano, dove si rifugiarono dagli amici Pelizzola, che abitavano a fianco della Gestapo e la cui figlia, parlando tedesco, aveva un buon rapporto con l'ufficiale, che mai sospettò che loro fossero attivi nella tutela dei perseguitati e dei partigiani. 

In dicembre fu proprio Usellini a organizzare e gestire la fuga degli anziani nonni, sopra Cannobio.”  

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Dicembre '44. la catena di salvatori porta i coniugi Lopez in Svizzera (articolo di Marina Morpurgo su L’Unità del 9 marzo 1994)

 

Per un Oskar Schindler diventato famoso, ce ne sono migliaia di altri rimasti pressoché ignoti: persone che durante l'occupazione nazista si sono prodigate a rischio della vita per aiutare un vicino di casa, un conoscente, un amico ebreo. Qui vi raccontiamo della straordinaria catena di solidarietà che salvò il commediografo Sa­batino Lopez, e di come a 76 anni riuscì a scappare in Svizzera.

È il dicembre del 1944, Milano è in una morsa di terrore. In via Gallina, in un edificio a due piani che ospita la loro of­ficina dì minuterie metalliche, abita la famiglia Pelizzola. I Pelizzola hanno dei vicini che nessuno vorrebbe avere: la villetta a fianco è sede di una Kommandantur tedesca. Per loro fortu­na erano della Wehrmacht e non erano SS, ricorda Piera Pe­lizzola, che allora era una ragazzina «perché sotto il naso glie­ne abbiamo fatte di tutti i colori, papà, che era del Cln, ospita­va sempre i fuggiaschi. Da noi passavano ebrei, evasi da San Vittore, gente sul cui capo pendevano grosse taglie; condannati a morte». In casa Pelizzola è nascosto anche il commediografo Sabatino Lopez, con la moglie Sisa. I coniugi Lopez in settembre sono scampati miracolosamente agli eccidi di ebrei sul lago Maggiore (dove erano sfollati), e ora - tornati a Mila­no - si spostano da un'abitazione a un'altra. «Per un po' era­no stati a casa nostra in largo Rio de Janeiro» racconta il figlio Guido «ma continuavano a cercarli, anche se la portinaia di­ceva a tutti che l’appartamento era vuoto. A un certo punto la mamma aveva messa dell'ovatta nel campanellino del telefono, perché non ne poteva più di sentirlo trillare e di non poter rispondere». I Lopez si spostano in periferia, in casa di una ex domestica che non esita a ospitarli: sinché un giorno non si im­battono casualmente in Paolo Pelizzola che è un loro cono­scente, e che se li porta subito in via Gallina.

Attorno a Sabatino e sua moglie si attiva immediatamente una catena di salvatori. L'obiettivo è quello di far passare in Sviz­zera la coppia: un compito reso ancor più difficile dall'età dello scrittore che ha 76 anni. A provvedere i documenti falsi è il pitto­re Gianfilippo Usellini, già allievo del professor Lopez. A fare le fotografie viene chiamato Mario Perotti, un fotografo d'arte. Per rendere irriconoscibile Sabatino lo obbligano a tagliarsi gli splen­didi baffi, coltivati con orgoglio per quasi mezzo secolo: «Sì offe­se moltissimo» ricorda Piera Pelizzola. Le nuove carte d'identità portano i nomi di Silvio Lasagna e Serafina Taddei, residenti a Bitonto. «Bitonto era in mano alleata e quindi nessuno poteva an­dare a controllare» dice Guido Lopez. Il problema è quello di far introiettare ai clandestini la loro nuova identità, come racconta Piera Pelizzola: «la Sisa faceva sempre le prove. Chiamava Silvio, Silvio, ma Sabatino non si girava mai. Lei era disperata...»

L'11 dicembre finalmente arriva il momento dell'espatrio. Sa­batino e Sisa lasciano Milano, diretti al confine svizzero. Una leg­genda dice che il giorno prima di scappare Sabatino sia andato a pagare le tasse (Quando lo dissi a papà, lui mi rispose soltanto «onesto sì, ma bischero no» spiega il figlio Guido). Il pittore Usel­lini - che li accompagna - ha organizzato tutto prendendo accor­di con i contrabbandieri. Sabatino Lopez è pieno d'angoscia: oltre ad essere anziano, soffre di vertigini. Sisa, invece, è baldanzosa e si è persino appuntata un mazzo di violette sulla pelliccia. Da Cannobio inizia una marcia faticosissima, sul sentiero gelato. Ad un certo punto, alla comitiva si gela anche il sangue: ci sono i tede­schi. Racconta Fanny Usellini, figlia di Gianfilippo: «Non so come, ma papà riuscì a salvare tutti buttandola sull'artistico. In te­desco - il tedesco lo aveva imparato da ragazzino - spiegò che stava andando a dipingere una pala d'altare nella chiesetta di S. Agata, che era lì tra le montagne. I Lopez li presentò come suoi vecchi zii … e i tedeschi gli credettero».

Il confine viene passato con il professor Lopez portato a braccia: per il freddo e la stanchezza le gambe non lo reggono più. Ma ormai le case di Brissago (Svizzera) sono in vista e i nazisti sono definitivamente alle spalle … [tratto da Guido Lopez, Finché c’è carta e inchiostri c’è speranza, Mursia, Milano 2019, p. 140-141]

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Dal Diario di Sisa Tabet Lopez

“Sono le 11 di mattina del giorno 13 (dicembre). Siamo seduti su di una sporgenza e aspettiamo. Ci avranno visti? La strada è così brutta che non si potrebbe più andare né avanti né in­dietro. Gridiamo per richiamare l'attenzione. Passano, cre­do, pochi minuti, ma sembrano secoli.

Una guardia apparisce tra gli sterpi dietro a noi. «Vous étes des refugeés?» Guarda i documenti. Dice che sarà diffi­cile che ci accettino, ma che va a chiamare l'ufficiale. «Pote­te dimostrare di essere ebrei?». L'ufficiale è straordinaria­mente gentile. Prende Nino sulle spalle per il primo tratto di salita, lo fa sedere, poi viene ad aiutare anche me. In due o tre tappe raggiungiamo il viottolo, la strada, la casa.

C'è il fuoco. Ci danno la minestra e ci fanno sperare di poter rimanere in Svizzera. Aspettiamo la telefonata del Co­mando. SIAMO ACCETTATI. «Volete scendere subito a Brissago?». No, siamo troppo stanchi. Preferiamo dormire fra la paglia in un fienile sopra a una stalla...

La notte dormo profondamente come non ho mai dormi­to in vita mia, al suono dei campanelli delle mucche che si muovono sotto nella stalla. C'è un buon profumo di mele che viene da una cassetta, me ne mangerei volentieri una, ma non mi appartengono. Del resto abbiamo ben mangiato una gran scodella di minestra, e delle patate col buon pane scuro dei soldati.” [tratto da Guido Lopez, Finché c’è carta ecc. cit, p. 131]

Espatrio

I coniugi Lopez dal 22 dicembre troveranno poi ospitalità al Ricovero di Roveredo Grigioni ove rimarranno sino alla fine della guerra. Verranno raggiunti il 5 maggio del 1945 dal figlio Guido, internato in Svizzera dal 26 settembre del ’43, e insieme rientrano a Milano il 20 luglio 1945.