Herbert
Gerretz
Gerretz
Nome
Herbert
Cognome
Gerretz
Sesso
M
Attività partigiana
Matricola
Ruolo
Note
Note biografiche
All’epoca delle stragi, appena diciottenne, era di stanza sul Lago Maggiore come recluta SS.
Testimonianza
Testimone al processo di Osnabrück, udienza del 12 marzo 1968.
Offrì per la prima volta dall’inizio del processo accuse dirette contro i due imputati Leithe e Schultz.
Il testimone dichiarò: «Sono stati uccisi civili, donne e bambini» e ancora «Ho visto con i miei occhi che a sparare furono il capitano Bremer e i sergenti Schultz e Leithe».
Il testimone si riferisce all’eccidio di Meina. «Una sera nell’albergo Meina, dov’erano nostri prigionieri una ventina di ebrei, venne il capitano Bremer e ci ordinò di far scendere alcuni degli ebrei perché avrebbero dovuto essere interrogati. Li facemmo salire su una camionetta e partimmo verso Arona ma, prima di arrivarvi, svoltammo per una stradicciola in salita. Dopo un paio di chilometri Bremer fece scendere tutti. Disse che avevano sbagliato strada e a me e a un altro soldato disse di scortare gli ebrei - quattro o cinque mi pare – lungo una scorciatoia fino a un piazzale dove la camionetta ci avrebbe ripresi. Ci avviammo. Dopo pochi passi io e il collega fummo chiamati e invitati a tornare.
Ci eravamo appena allontanati che cominciarono gli spari. A sparare, col braccio teso che impugnava la rivoltella, erano in tre, uno accanto all’altro: Bremer, Schultz e Leithe, da quattro-cinque metri di distanza, nella schiena dei prigionieri illuminati dai fari della camionetta».
«Leithe ha poi rincorso una donna che non era stata colpita e che cercava di fuggire e l’ha uccisa sparandole nella schiena [il testimone si riferisce alla signora Froelich]».
Offrì per la prima volta dall’inizio del processo accuse dirette contro i due imputati Leithe e Schultz.
Il testimone dichiarò: «Sono stati uccisi civili, donne e bambini» e ancora «Ho visto con i miei occhi che a sparare furono il capitano Bremer e i sergenti Schultz e Leithe».
Il testimone si riferisce all’eccidio di Meina. «Una sera nell’albergo Meina, dov’erano nostri prigionieri una ventina di ebrei, venne il capitano Bremer e ci ordinò di far scendere alcuni degli ebrei perché avrebbero dovuto essere interrogati. Li facemmo salire su una camionetta e partimmo verso Arona ma, prima di arrivarvi, svoltammo per una stradicciola in salita. Dopo un paio di chilometri Bremer fece scendere tutti. Disse che avevano sbagliato strada e a me e a un altro soldato disse di scortare gli ebrei - quattro o cinque mi pare – lungo una scorciatoia fino a un piazzale dove la camionetta ci avrebbe ripresi. Ci avviammo. Dopo pochi passi io e il collega fummo chiamati e invitati a tornare.
Ci eravamo appena allontanati che cominciarono gli spari. A sparare, col braccio teso che impugnava la rivoltella, erano in tre, uno accanto all’altro: Bremer, Schultz e Leithe, da quattro-cinque metri di distanza, nella schiena dei prigionieri illuminati dai fari della camionetta».
«Leithe ha poi rincorso una donna che non era stata colpita e che cercava di fuggire e l’ha uccisa sparandole nella schiena [il testimone si riferisce alla signora Froelich]».