Le leggi razziali del 1938 prevedono la discriminazione per gli ebrei italiani e l’espulsione per quelli stranieri che sono oltre 9000 (compresi gli italiani privati di cittadinanza)[1]. Una parte riesce ad espatriare, alcuni rientrano nelle categorie esentate e rimangono, altri sfuggono ai controlli o chiedono una proroga al permesso di soggiorno. Nel frattempo però c’è un forte afflusso di ebrei provenienti dalle zone tedesche per cui nel 1941 il totale è attorno ai 7000 che nella primavera del 1943 risale a circa 9000[2]. Già nel 1939 il Ministero dell’Interno allerta ripetutamente i prefetti per avere informazioni su stranieri e soggetti potenzialmente pericolosi, in previsione di un’eventuale guerra, ma la normativa sull’internamento si attua negli ultimi giorni di maggio del 1940 quando il governo dispone la reclusione di tutti gli ebrei “pericolosi” e di tutti gli ebrei stranieri[3] . Questi vengono concentrati in edifici pubblici sparsi in varie località in attesa della creazione dei campi di internamento. Gran parte di loro finirà poi a Ferramonti di Tarsia (CS) che apre, sebbene non sia ancora completato, il 20 giugno del 1940. I restanti finiscono in altri campi situati principalmente nei comuni dell’Italia centro meridionale o in internamento libero.
Nella provincia di Novara non ci sono campi, quindi si considera solo l’internamento libero. Sono diciassette le persone coinvolte, anche se solo alcuni degli ebrei internati abitano nella nostra zona, come i coniugi Davide Mandl e Sofia Herzig, residenti a Novara, di origini austriache lui, polacche lei. Deportati prima in campi dell’Italia centrale, arrivano a Verbania nel 1941 dove Mandi muore e le tracce della moglie si perdono nel novembre dello stesso anno. Nel 1940 sempre a Novara abita la tedesca Elsa Rosenau e suo padre Giuseppe che vengono subito internati, lei a Casacalenda (CB) e poi ad Acquapendente (VT), lui a Viterbo. Dall’agosto dello stesso anno si perdono però le loro tracce. Sono residenti a Novara anche Otto Geiringer (origini ungheresi) internato a Notaresco (Teramo) nel luglio del 1940 e poi emigrato e Hirsch Heublum (origini polacche), internato prima a Orsogna (Chieti) nell’agosto del 1943 e poi a Lanciano nell’estate del 1944, quando si perdono le sue tracce. Un altro novarese di origini polacche è Hermann Gurtler, critico musicale e musicista, che nel 1935 si trasferisce a Cannobio. Internato a Tortoreto (Teramo) nel luglio 1940, finisce poi a Bolzano nell’ottobre 1944; sopravvive e continua dopo la guerra la sua carriera artistica. Di Berta Jung, jugoslava, si sa solo che viene internata nel maggio del 1942 nel campo di Casacalenda (CB) e a ottobre finisce a Oleggio (Novara). Nota invece la vicenda dei milanesi di origine lettone Joseph Wofsi e la moglie Emma Baron, trasferitisi a Baveno nel 1938 e poi internati nel campo di Ospedaletto d’Alpinolo (AV). Ritornati a Milano nel 1941, nel settembre 1943 sono di nuovo a Baveno dove la loro storia si conclude tragicamente come quella degli altri ebrei coinvolti nell’eccidio del Lago Maggiore. Residenti a Milano anche il polacco Elias Weiss, la moglie Zirla Luchs (tedesca) e le figlie Rosa e Sonia: dal dicembre 1940 sono internati nel campo di Ferramonti, poi nel settembre dell’anno successivo vengono mandati a Novara e infine risultano a Romagnano Sesia ancora nel giugno del 1943, dopo di che anche di loro si perdono le tacce. Infine la famiglia Melzer, Kalman di origine polacca, la moglie tedesca Margarethe Hühner e il loro figlio Udo. Si stabiliscono a Milano nel marzo del 1937, ma nell’autunno del 1940 Kalman viene internato a Campagna (Salerno) e poi a Ferramonti di Tarsia, dove verrà raggiunto dalla famiglia nella primavera del 1941. Nel novembre dello stesso anno ottengono l’internamento libero a Vespolate (Novara) da dove, nel giugno del 1943, riescono ad espatriare in Svizzera.
[1] R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, 1993.
[2] M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista, Einaudi, 2000.
[3] “Dovranno pertanto essere arrestati ebrei stranieri tedeschi, ex cecoslovacchi, polacchi, apolidi dall’età di diciotto a sessant’anni. Di essi dovrà essere inviato ministero elenco con generalità per assegnazione campi di concentramento. Loro famiglie in attesa apprestamento appositi campi concentramento già in allestimento dovranno essere provvisoriamente avviate con foglio di via obbligatorio ai capoluoghi di provincia.” Telegramma inviato il 15 giugno ’40 dal capo della polizia ai prefetti (riportato in Carlo Spartaco Capogreco, I campi del duce, Einaudi, 2014).