La legislazione italiana di carattere razzista inizia con i provvedimenti discriminatori nei confronti degli africani. La Legge n. 999 del 6 luglio 1933, riguardante l’Eritrea e la Somalia, pone limiti alla cittadinanza per i meticci nati da genitore bianco rimasto ignoto, ma è con l’occupazione dell’Etiopia che la situazione si aggrava: nel 1936 vengono emanate disposizioni che limitano i diritti civili e politici per i meticci, condannano le unioni miste e stabiliscono nelle colonie un regime di apartheid[1]. Nel corso del 1937 altre disposizioni aggravano le condizioni di segregazione e proibiscono (con una pena di cinque anni di reclusione) matrimoni tra italiani e sudditi delle colonie[2]. Infine altre norme del ‘39 e del ‘40 individuano il reato di “lesione del prestigio della razza” e discriminano ulteriormente i meticci nati da unioni tra africane e italiani[3].
E’ invece il 1938 l’anno cruciale per la legislazione razzista che coinvolge gli ebrei italiani e quelli stranieri che risiedono in Italia. La prima significativa iniziativa è costituita dall’Informazione diplomatica[4] n. 14 del 16 febbraio in cui si afferma che, pur non esistendo ancora un problema ebraico in Italia, il governo vigilerà sugli ebrei giunti di recente nel territorio nazionale e perché il rilievo sociale degli ebrei non sia sproporzionato rispetto all’entità numerica della loro comunità. A questa segue il 14 luglio il Manifesto degli scienziati razzisti che in realtà è un articolo senza firma che compare con il titolo di Il fascismo e i problemi della razza sulla prima pagina del Giornale d’Italia. Il testo ribadisce il fondamento biologico della razza e chiarisce che gli ebrei non appartengono a quella italiana[5]. Nel mese di agosto si svolge il censimento razzista che avrebbe dovuto schedare tutti gli ebrei sul territorio; contemporaneamente con provvedimenti amministrativi il Ministro dell’educazione nazionale vieta l’assunzione di supplenti ebrei dal nuovo anno scolastico e il Ministro degli interni informa i prefetti per escludere gli ebrei da ogni carica pubblica. Si arriva così a settembre con il RDL n. 1390 del 5 e con quello n. 1381 di due giorni dopo. Il primo riguarda l’esclusione degli insegnanti e degli studenti di origine ebraica dalle scuole pubbliche italiane[6], mentre il secondo impone agli ebrei stranieri di lasciare il paese entro sei mesi. A questo punto, fatti gli opportuni passi diplomatici per assicurarsi il consenso, il 6 ottobre il Gran Consiglio del fascismo emana una Dichiarazione sulla razza che costituirà il punto di riferimento teorico per la successiva politica e legislazione persecutoria[7]. A novembre dello stesso anno escono i decreti legge del 15 (RDL n. 1779) , che integra e coordina le precedenti normative per la difesa della razza nella scuola italiana, e del 17 (RDL n. 1728) che è il testo fondamentale per la politica razziale italiana: stabilisce i criteri biologici e culturali di appartenenza alla razza ebraica; proibisce i matrimoni misti ed elenca le restrizioni sociali, politiche ed economiche a cui sono sottoposti gli ebrei, prevedendo alcuni casi di parziale esenzione (detta discriminazione) legate a particolari benemerenze. Negli anni successivi nuove disposizioni legislative ed amministrative determineranno la totale espulsione degli ebrei dalla pubblica amministrazione, porranno ostacoli sempre maggiori alle attività commerciali (tolte le licenze a partire dal gennaio 1940) e alle libere professioni, fino a limitare la stessa proprietà immobiliare (con requisizioni statali delle proprietà eccedenti).
L’obiettivo di Mussolini è quello di isolare gli ebrei dal resto della popolazione e in prospettiva di allontanarli dall’Italia, progetto nei fatti impossibile data la profonda integrazione degli ebrei italiani e i numerosi matrimoni misti. Con l’ingresso dell’Italia in guerra si dispone quindi di internare tutti gli ebrei stranieri e anche gli italiani ritenuti pericolosi servendosi di strutture locali già esistenti (una quarantina di caserme ed edifici statali) in previsione dell’apertura di un grosso campo in Calabria. Il campo di Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza, aprirà il 20 giugno del 1940 ed ospiterà gran parte degli ebrei stranieri presenti sul territorio italiano. Durante la prima fase della guerra, oltre ad ulteriori restrizioni nell’ambito dei diritti, gli ebrei italiani verranno precettati per i lavori forzati (i maschi dai 18 ai 55 anni) nella primavera del 1942, per altro con un reclutamento molto scarso, e il governo progetterà per loro 4 campi di concentramento sul territorio italiano dove rinchiuderli e sfruttarli economicamente. Iniziativa mai attuata perché risale al giugno del 1943, un mese prima della caduta di Mussolini.
Nell’estate del 1943 Badoglio abroga solo disposizioni amministrative ma non le leggi antisemite, sebbene l’art. 31 dell’armistizio, conosciuto e accettato prima dell’8 settembre, lo prevedesse. Solo il 22 settembre 1943 c’è il primo documento italiano ufficiale (Regno del Sud) che recepisce tale norma. Ma più grave e con conseguenze disastrose è la mancata distruzione dei documenti riguardanti i censimenti degli ebrei custoditi presso le amministrazioni comunali, le prefetture e le questure: questo faciliterà la cattura e lo sterminio degli ebrei anche in Italia, operato dai tedeschi e dal governo italiano (RSI). Le prime operazioni antiebraiche iniziano già nel mese di settembre con la strage nel Novarese (la prima in Italia) e contemporaneamente con il rastrellamento e la cattura di alcune centinaia di ebrei provenienti da St. Martin-Vésubie, nel sud della Francia. Sono ebrei che scappano[8] seguendo i resti della V Armata italiana in ritirata: vengono tutti reclusi nella caserma degli alpini di Borgo San Dalmazzo, che diventa così un campo di raccolta, e a novembre consegnati alle SS di Nizza che li manderanno nel lager francese di Drancy per poi deportarli ad Auschwitz. Il terzo grande rastrellamento del mese di settembre avviene a Merano con la deportazione dell’intera comunità ebraica locale. La razzia di ebrei più imponente numericamente e più nota è però quella di ottobre nel ghetto di Roma che azzera la comunità romana.
Il governo della RSI non solo collaborerà attivamente con i tedeschi per la cattura e detenzione egli ebrei, ma riprenderà in senso peggiorativo la legislazione antisemita del Regno italiano a partire dalla Carta di Verona del 15 novembre 1943 che avrebbe dovuto costituire la base programmatica di una futura costituzione repubblicana mai realizzata. In questo documento, all’articolo 7, si afferma che “gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazione nemica[9].” Quindici giorni dopo nell’ordine di polizia n. 5 diretto dal Ministro dell’Interno Buffarini Guidi ai capi delle Province si trova scritto “Tutti gli ebrei, anche se discriminati, a qualunque nazionalità appartengano, e comunque residenti nel territorio nazionale debbono essere inviati in appositi campi di concentramento. Tutti i loro beni mobili e immobili, debbono essere sottoposti a immediato sequestro, in attesa di essere confiscati nell’interesse della RSI, la quale li destinerà a beneficio degli indigenti sinistrati dalle incursioni aeree nemiche[10].” La concentrazione coatta degli ebrei è ormai destinata non all’espulsione dal territorio nazionale, ma al loro invio nei campi di sterminio.
L’attività legislativa prosegue anche nel 1944 con il Decreto Legge n. 2 del 4 gennaio, che vieta agli ebrei di possedere qualsiasi bene e invita i capi delle Province al loro sequestro immediato, e si conclude nel 1945 con lo schema di legge del 16 aprile che ovviamente non avrà seguito. Prevedeva ulteriori inasprimenti nella legislazione antisemita con provvedimenti di carattere economico e finanziario.
[1] RDL n. 1019 del 1 giugno 1936 e direttiva del 5 agosto 1936 dal Ministro alle colonie Lessona al Viceré Graziani.
[2] Decreti n. 620208 (12 giugno 1937), 12723 (1 luglio 1937), 41675 (19 luglio 1937) e Decreto legge n. 880 (19 aprile 1937).
[3] Decreto legge n. 1004 del 29 giugno 1939 e Legge n. 822 del 13 maggio 1940.
[4] Informazione diplomatica è il bollettino del Ministero degli Interni.
[5] Il testo nasce dopo una lunga gestazione iniziata a febbraio con incontri tra Mussolini e Guido Landra, che a giugno ha l’incarico ufficiale di stendere i punti essenziali del pensiero razzista del Duce. Landra crea un piccolo gruppo di lavoro contattando personaggi del mondo scientifico universitario, tra cui Lidio Cipriani, e dopo alcune revisioni redige la bozza definitiva che verrà poi pubblicata. E’ solo nei giorni successivi che Mussolini decide di coinvolgere altre personalità scientifiche, tra le quali Sabato Visco e Nicola Pende (che non avevano contribuito alla stesura del manifesto), e ufficializzare le firme il 25 luglio.
[6] “Art.1 – All’ufficio di insegnante nelle scuole statali o parastatali di qualsiasi ordine e grado e nelle scuole non governative […] non potranno essere ammesse persone di razza ebraica. Art.2 – Alle scuole di qualsiasi ordine e grado […] non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica. Art.6 – Agli effetti del presente decreto legge è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se egli professi religione diversa da quella ebraica.” (Le leggi antiebraiche dell'Italia fascista-CDEC-Fondazione Centro di Documentazione Ebraica contemporanea)
[7] “Il Gran Consiglio del fascismo ricorda che l’ebraismo mondiale […] è stato l’animatore dell’antifascismo in tutti i campi e che l’ebraismo estero o italiano fuoriuscito è stato […] unanimemente ostile al fascismo”. (Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, 1993)
[8] Dopo la caduta di Mussolini e anche in seguito all’armistizio, molti ebrei residenti nel Meridione francese controllato da reparti italiani decidono di passare le Alpi ritenendo di essere più sicuri che non nella Francia ancora in mano tedesca (la Germania controlla direttamente la Repubblica di Vichy dopo lo sbarco alleato in Nord Africa).
[10] Cfr. Le circolari-CDEC-Fondazione Centro di Documentazione Ebraica contemporanea