Per quanto riguarda il Novarese questa tipologia di deportati comprende solamente persone di origine ebraica. Avendo inserito anche gli ebrei coinvolti nei fatti del Lago Maggiore dell’autunno del 1943, si arriva a novantatré persone, circa il 19% del totale.
RAZZISMO ITALIANO[1]
Come nel resto dell’Europa anche in Italia, in particolare presso ambienti intellettuali e colti, all’inizio del Novecento si diffonde l’ideologia razzista che si accompagna al riemergere di tendenze antisemite. Sono idee che circolano all’interno di riviste che avranno un forte sostegno, anche economico, da parte del regime fascista e raggiungeranno un discreto pubblico. Quando poi il governo ufficializzerà e intensificherà, con la propaganda e la legislazione, il razzismo e l’antisemitismo, questi si diffonderanno fino a diventare una mentalità comune a gran parte del popolo italiano. Il fenomeno non si manifesta in modo omogeneo ma presenta differenze dal punto di vista teorico che evidenziano più che altro i contrasti politici tra correnti all’interno del fascismo e l’evoluzione delle posizioni governative che fanno capo a Mussolini.
L’antisemitismo italiano non risulta un semplice adeguamento alla politica di Hitler, ma la logica conseguenza di un programma nazionalista e razzista che vuole eliminare le differenze tra cittadini e costruire un’immagine della “tipologia italica” attorno alla quale unire la popolazione e aumentare il consenso. Mussolini e il governo italiano riescono ad adattare ai propri obiettivi politici pensieri e mentalità già presenti in alcuni settori culturali o latenti in certe parti della popolazione.
Tra Ottocento e Novecento aveva ripreso vigore l’antiebraismo di matrice sostanzialmente religiosa, alimentato da settori e riviste del mondo cattolico che associavano la critica alla massoneria, al liberalismo e al modernismo, alla critica nei confronti degli ebrei considerati esponenti di primo piano di tali realtà. A questo poi si aggiunge un antisemitismo di matrice nazionalista, molto aggressivo nei confronti del sionismo, che riprende i vecchi stereotipi degli ebrei considerati comunque “stranieri” e della congiura internazionale.
Tuttavia è con l’affermarsi del fascismo che emergono altre forme di razzismo e antisemitismo, già presenti in alcuni ambienti culturali e che si possono schematicamente riassumere in tre filoni principali: il razzismo biologico, il razzismo nazionale e il razzismo esoterico tradizionalista.
Razzismo biologico
E’ la tipologia più diffusa prima della guerra e viene divulgata principalmente dalla rivista La Difesa della Razza, diretta da Telesio Interlandi, anche se già anticipata negli anni precedenti su altri giornali.
La razza si fonderebbe su elementi biologici, non religiosi o culturali, di carattere ereditario che determinano la struttura gerarchica della società umana: esistono razze superiori e razze inferiori. Gli italiani appartengono a una razza superiore di origine ariana che nulla ha a che fare con la razza ebraica. Questa ideologia trova le sue prime applicazioni nella legislazione coloniale e in Telesio Interlandi[2] il suo divulgatore più importante e sempre molto ascoltato e difeso da Mussolini. Attraverso i giornali da lui diretti, con l’appoggio di Guido Landra e Lidio Cipriani, giovani antropologi, e di molti giornalisti, tra cui anche Giorgio Almirante[3], si diffondono le idee che troveranno una concreta applicazione nel “Manifesto degli scienziati razzisti” e nella legislazione del 1938. La mescolanza tra razze diverse, soprattutto tra inferiori e superiori, va sempre a danno delle superiori, dunque è necessario impedire ogni forma di meticciato. Gli ebrei, considerati di razza inferiore devono di conseguenza essere isolati e discriminati per preservare la purezza della razza italica.
Razzismo nazionale
Alla rigidità del criterio biologico e alla sua obiettiva difficoltà di applicazione in una situazione come quella italiana in cui il numero dei matrimoni misti è molto elevato, si aggiungono ben presto riserve e critiche nei confronti di questo tipo di razzismo da parte di esponenti politici come il Ministro dell’Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai, e da parte di esponenti del mondo culturale e scientifico come Giacomo Acerbo[4], il biologo Sabato Visco e l’endocrinologo Nicola Pende. Sono loro i principali sostenitori del razzismo nazionale che pone al centro dell’attenzione elementi storici ed etnici.
La razza si identificherebbe con la nazione intesa come un insieme di valori spirituali che si trasmettono ereditariamente e che sono alla base di ogni caratterizzazione biologica. Anche in questo caso si presuppone che l’umanità sia divisa gerarchicamente in razze che vengono chiamate stirpi, nazioni e il meticciato, sia con africani, sia con ebrei, è da condannare. Gli ebrei in particolare sono considerati un’etnia estranea che non si è mai integrata né assimilata alla stirpe italica, che ha le proprie radici nella Roma antica, origini mediterranee, non nordiche. E’ una posizione gradita ovviamente ai nazionalisti, ma risulta ben più interessante del razzismo biologico (e di certe sue derive eugenetiche) anche a parte del mondo cattolico, come i Gesuiti che attraverso il loro giornale Civiltà cattolica contribuiscono all’affermazione di questa variante razzista.
Razzismo esoterico-tradizionalista
Lo scontro che si apre a livello politico e culturale tra le due posizioni ideologiche favorisce l’emergere della terza componente del razzismo italiano. A guidare questa corrente sono Giovanni Preziosi[5], direttore di La vita Italiana (rivista nazionalista fino alla prima guerra mondiale e poi sempre più schierata su posizioni dichiaratamente antisemite), il giornalista Alberto Luchini e il filosofo Julius Evola[6], il vero teorico del gruppo. Egli parte dalla distinzione dell’essere umano in corpo, anima e spirito, per definire tre livelli di razzismo: quello fisico, quello che si sofferma sulle diversità di pensiero e comportamento tra gli uomini e infine quello di livello superiore che individua le differenze tra persone a livello dei culti, miti e visioni generali del mondo, la “razza primaria”, la componente spirituale e fisica al tempo stesso più pura e superiore, contenuta all’interno di ogni nazione. Il vero razzismo consisterebbe non solo nel rendere più omogeneo l’insieme eterogeneo di una nazione, ma nel far emergere la “razza primaria” disassimilando ed eliminando tutte le incrostazioni che la storia ha prodotto. Esiste una razza italica “pura”, accomunabile agli ariani e non ai mediterranei, che si è “imbastardita” nel corso del tempo a causa soprattutto degli ebrei e che occorre “ripulire” per rendere grande l’Italia.
[1] Per le considerazioni contenute in questa parte cfr. La menzogna della razza, a cura del Centro Furio Jesi, Grafis edizioni Bologna, 1994.
[2] Telesio Interlandi (1894/1965) è un giornalista che Mussolini vuole dal 1924 alla guida del quotidiano Il Tevere, giornale fortemente finanziato e collegato al PNF e alla Presidenza del Consiglio. Nel 1933 fonda la rivista Il Quadrivio che anticipa i contenuti e si serve di molti collaboratori che ritroveremo ne La Difesa della Razza.
[3] Giorgio Almirante (1914/1988) è un giornalista, redattore capo dal 1934 del Tevere. Nel 1938 passa nella redazione de La Difesa della Razza e durante la Repubblica Sociale Italiana è nella direzione della propaganda bellica e razziale. Nel dopoguerra è tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano, partito neofascista, di cui diventa il primo segretario per poi ricoprire tale carica anche in anni successivi. Viene sostituito nel 1987 da Gianfranco Fini.
[4] Giacomo Acerbo (1888/1969) reduce della prima guerra mondiale, nazionalista, aderisce nel 1919 ai Fasci di combattimento. Deputato dal 1921 è primo firmatario della legge elettorale del 1923. Autore del libro I fondamenti della dottrina fascista della razza, pubblicato nel 1940, nel febbraio del 1943 diventa Ministro delle finanze, ma il 25 luglio vota la sfiducia a Mussolini e non aderirà alla RSI. Arrestato dagli Alleati, viene processato e condannato, ma lo stato italiano lo riabiliterà nel 1951.
[5] Giovanni Preziosi (1881/1945) giornalista e politico antisemita, aderisce al fascismo e nella RSI ricopre dal marzo 1944 la carica di Ispettore generale per la demografia e la razza, ma i suoi progetti di inasprimento della politica razzista e antisemita in Italia non vengono realizzati. Si suicida nella Milano liberata dai partigiani.
[6] Giulio Cesare (Julius) Evola (1898/1974) è un filosofo e uomo di molteplici interessi culturali. Esercita la professione di giornalista e conferenziere in molte realtà accademiche manifestando posizioni ideologiche vicine al razzismo e all’antisemitismo fascista e nazista.