Durante la guerra e ancor di più dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 la provincia di Novara diventa luogo di transito per molti ebrei stranieri e italiani che cercano salvezza in Svizzera. Complessivamente passeranno il confine italo-svizzero circa 6.000 persone e una parte di loro è costituita da quelli che attraversano le zone del Verbano a ridosso del lago Maggiore e dell’Ossola, sfruttando i sentieri sulle alture delle valli come la Val Cannobina, la Val Vigezzo o la Val Formazza e la Valle Divedro che mettono in comunicazione il Novarese con la Svizzera. Gli ebrei presenti in queste zone vengono aiutati ad espatriare dagli abitanti dei paesi di montagna, dagli “spalloni” (i contrabbandieri, naturalmente dietro compenso) e dai partigiani come quelli appartenenti alla formazione Cesare Battisti che nel Verbano organizzano la fuga in Svizzera di molte persone[1]. Anche alcuni degli ebrei coinvolti nei fatti del lago Maggiore stavano tentando di percorrere la stessa strada per salvarsi[2], ma vengono fermati dall’arrivo dei tedeschi.
La legislazione svizzera sui profughi di guerra si basava sulle Convenzioni dell’Aja del 1907 e di Ginevra del 1929: disarmo, concessione d’asilo e internamento. Situazione diversa e più difficile per gli altri profughi civili e quindi anche per gli ebrei. La normativa che li riguarda è restrittiva soprattutto a partire dagli anni Trenta: vengono limitati gli ingressi alle frontiere e dal 1940 ci sono campi di lavoro per i rifugiati, anche se sono concessi più libertà decisionali alle autorità cantonali e molti margini alla polizia di frontiera sull’accettazione o meno delle richieste d’ingresso. Nel 1942 per i politici ci saranno alcune facilitazioni, non estese però agli ebrei che continuano in molti casi ad essere respinti alla frontiera e per chi è rimandato in Italia dopo l’armistizio del 1943 vuole dire vagare sulle montagne con seri rischi di essere arrestato e deportato. La situazione alla frontiera migliora nel 1944, ma solo da luglio il governo federale svizzero concede a tutti gli ebrei di richiedere asilo, equiparando di fatto l’ebreo a un rifugiato politico[3].
Sono in molti quindi che non riescono a trovare rifugio nei campi profughi della Svizzera[4] e, prima o dopo i respingimenti, vengono arrestati. Nel Novarese gli arresti sono effettuati dalla Gnr (Guardia Nazionale Repubblicana) confinaria principalmente a Domodossola, a Craveggia in Val Vigezzo e nella zona di Cannobio. In base ai dati disponibili finora si sa della cattura e deportazione in tempi diversi di Giulio Forti, Oreste Ezechiele Levi, Isa Magrini, Giulio Norsa, Sergio Vitale, della famiglia di Abner Hasson e Ester Ass, lui greco e lei lituana, dei turchi residenti a Trieste Emanuele Staineri e Basilia Salambrassi, della famiglia ferrarese di Gino Ravenna e Letizia Rossi, e infine di Leopoldo Schoenhaut, residente a Trieste ma arrestato nel dicembre 1943 a Stresa mentre probabilmente stava cercando di espatriare.
Riguardo a quegli eventi, va sottolineata la responsabilità dei politici e dei funzionari che hanno conservato gli elenchi degli ebrei, dei militari italiani della Rsi, dei militari tedeschi, ma anche dei cittadini italiani che con le loro delazioni hanno permesso e facilitato tutto questo. La sorte che seguiranno queste persone è piuttosto simile: dall’arresto alle carceri e infine alla deportazione ad Auschwitz per opera delle SS.
[1] Cfr. Gianni Clemente, Rosa Gallucci, Maddalena Gatto, Maria Rosa La Casella, Tiziana Minazzi, Roberta Picchetti, Ebrei verso la Svizzera, in Ieri Novara Oggi n. 4/5, Istituto storico “Piero Fornara”, 1996; Renata Broggini, La frontiera della speranza. Gli ebrei dall’Italia verso la Svizzera 1943-1945, Mondadori, 1998.
[2] La novarese Bertie Kaatz cercava anche altre opzioni alternative, dalla Palestina agli Stati Uniti soprattutto, dove risiedeva suo fratello, prima di essere arrestata dai tedeschi il 19 settembre 1943.
[3] Renata Broggini, Terra d’asilo, Il Mulino, 1993.
[4] Durante il periodo bellico il 10% dei profughi accolti in Svizzera è di origine ebraica, ca. 28.000 persone, ma altrettanti ebrei vengono respinti. (Cfr. Renata Broggini, La frontiera della speranza, Mondadori, 1998.)