Dal 13 settembre al 10 ottobre 1943 in nove località tra Novara e la sponda piemontese del Lago Maggiore vengono assassinati almeno 57 ebrei. Si tratta della prima strage di ebrei avvenuta in Italia, seconda per numero di vittime dopo quella delle Fosse Ardeatine.
Una strage anomala rispetto alle direttive tedesche sul trattamento degli ebrei in Italia, che ne prevedevano la cattura e il trasporto nei lager del nord Europa (cosa che avviene, in effetti, negli stessi giorni per gli ebrei di Borgo San Dalmazzo). Un’ anomalia che potrebbe far pensare all’iniziativa personale, anche per motivi di rapina, dei comandanti locali delle SS. In realtà la durata della strage (più di un mese) e la sua ampiezza (ne è teatro un territorio vasto che comprende 8 località intorno ai laghi Maggiore, Mergozzo e Orta più il capoluogo Novara, dove opera un altro battaglione con altri comandanti) riconducono più verosimilmente la strage a ordini dei comandi superiori: farsi consegnare le liste di ebrei residenti o presenti nella provincia, dare loro la caccia, arrestarli, ucciderli e depredarli.
Nonostante i tentativi di segretezza (gli ebrei avrebbero dovuto semplicemente sparire nel nulla, uccisi di notte, in riva al lago o nei boschi vicini), la strage viene compiuta in modo maldestro: se della maggioranza delle vittime non si saprà effettivamente più nulla, in alcuni casi testimoni assistono all'uccisione degli ebrei, in altri, come nel caso di Meina, alcuni corpi riaffiorano dalle acque del lago e vengono visti dalla gente del paese. La notizia della strage si diffonde quasi subito.
Di fronte al numero di 57 vittime accertate, almeno altrettanti sono gli ebrei che, avvisati e talora aiutati, entrano in clandestinità e sotto falsa identità riescono a salvarsi, nascosti da amici o in istituti religiosi o trovando rifugio in Svizzera.