Dopo l’8 settembre 1943, con l’annuncio dell’armistizio e la conseguente occupazione nazista dell’Italia centro-settentrionale, migliaia di persone si riversarono lungo il confine italo-svizzero cercando rifugio nella neutrale terra elvetica. Tra questi c'erano soprattutto militari, ma anche civili antifascisti ed ebrei - italiani e stranieri - perseguitati per motivi razziali.
Prima del settembre 1943, nonostante l’entrata in vigore delle leggi razziali nel 1938, soltanto pochi ebrei intuirono la necessità di lasciare l’Italia; addirittura alcuni vi si erano trasferiti ritenendolo un luogo sicuro, come gli ebrei che da Salonicco erano giunti sulle sponde piemontesi del Lago Maggiore. Con l’armistizio e la conseguente occupazione tedesca, interi nuclei familiari si trovarono così inaspettatamente in pericolo di vita e, nell’impossibilità di raggiungere il sud liberato dagli alleati, cercarono la salvezza nella Confederazione elvetica.
Il governo di Berna, impegnato ad affrontare il calo di materie prime e di generi alimentari e un numero sempre crescente di profughi che premevano alle sue frontiere, pur sapendo della politica di persecuzione e di sterminio degli ebrei, nel 1942 (anno dell’occupazione della Francia da parte dell’esercito nazista) con un decreto aveva chiuso le frontiere (famosa la dichiarazione del suo consigliere Eduard von Steiger “La barca è piena”).
Tuttavia dopo l’8 settembre 1943 il Governo federale, spinto anche dalle pressioni esercitate da parte dell’opinione pubblica, iniziò ad allargare progressivamente i criteri per l’ammissione, innanzitutto per i profughi politici e militari, anche se in una prima fase le persone di "razza ebraica" non costituirono ancora una "categoria" e quindi di per sè non venivano considerati in stato di pericolo (se erano fortunati potevano aggregarsi agli anziani, ai bambini, alle donne incinta).
La Confederazione accolse oltre 6.000 ebrei (di cui 4.200 italiani, 1.800 stranieri) giunti dall’Italia attraverso un viaggio carico di pericoli e incertezze, ma ne respinse circa 300. Tra questi, una sessantina vennero catturati dai nazi-fascisti e, deportati, morirono nei campi. Chi trovò rifugio in Svizzera fece ritorno in Italia a guerra finita, nell'estate 1945.
L’ingresso dei rifugiati era scandito da un iter preciso - registrazione, quarantena e quindi internamento – ed era regolato da norme severe che imponevano loro, tra l’altro, di depositare il proprio denaro presso la Banca popolare Svizzera (Aldo Toscano ricorda come al momento del rimpatrio potè ritirare solo una parte dei soldi depositati, il resto gli era stato trattenuto a copertura dei costi di soggiorno).
- Circolare del Dipartimento federale di giustizia e polizia della Svizzera. Giugno 1944