20 giugno 1944: tre foto e una variante [di Mauro Begozzi]
L’immagine dei 43 partigiani fatti sfilare sul lungolago di Verbania (da Villa Caramora alla piana di Fondotoce) e avviati alla fucilazione il 20 giugno 1944 è insieme una tra le più emblematiche e rappresentative fotografie-simbolo della Resistenza italiana e al contempo una delle più “misteriose”.
Chi scattò quelle immagini? Quante ne vennero effettivamente scattate? Chi organizzò tutta la messa in scena? A quale scopo furono riprodotte? Oltre ai tre fotogrammi giunti sino a noi, ve ne sono altri? E se sì, dove potrebbero essere i negativi originali? Quale fu la loro diffusione allora e come si sono salvate? E’ possibile dare un nome ai singoli volti delle vittime e dei carnefici? Vi furono altri fotografi sulla scena o, successivamente, all’atto della fucilazione o, ancora, nel momento dell’esumazione delle salme?
A queste domande si possono solo dare parziali risposte, alcune certe e documentabili, altre molto meno sicure, frutto solo di testimonianze o deduzioni.
E’ certo, comunque, che da quel giugno 1944 e per oltre sessant’anni le fotografie del corteo dei Martiri di Fondotoce hanno fatto il giro del mondo e sono state pubblicate in migliaia di libri, riviste, giornali, mostre, cartoline, depliant, documentari, film, siti internet, ecc. in Italia e all’estero.
Raramente, però, i tre fotogrammi compaiono insieme e in sequenza, quasi sempre infatti sono pubblicati singolarmente e indifferentemente, accompagnati da didascalie simili anche se a volte decontestualizzanti l’evento (non è raro il caso di generici riferimenti a “partigiani” catturati durante un rastrellamento; a civili prigionieri, ecc. senza indicazione di data e di luogo e, soprattutto, del fatto che il corteo si concluse con la fucilazione di tutti i partigiani).
In realtà, i tre fotogrammi mostrano tre distinti momenti del corteo che sappiamo essere partito da Villa Caramora a Intra. I partigiani furono fatti salire su alcuni camion, fatti ripetutamente scendere lungo il tragitto, a Pallanza, a Suna e infine portati alla piana di Fondotoce e qui fucilati tre alla volta.
In generale, ciò che colpisce maggiormente è la messa in scena. Apparentemente non vi sono altri protagonisti oltre alle vittime, messe su tre file dietro al cartello “Sono questi i liberatori d’Italia oppure sono i banditi?” e ai carnefici, il cui numero varia da tre a sette. Pur non potendoli contare, sappiamo che nel corteo c’erano più di 43 partigiani e che alcuni di loro vennero all’ultimo momento risparmiati (è il caso ad esempio del sudafricano Frank Hellis che raccontò al giudice Emilio Liguori d'essere stato portato indietro con altri due partigiani).
E’ evidente una regia occulta, pensata e rappresentata, come è altrettanto evidente che alla regia parteciparono anche italiani (deducibile dal perfetto linguaggio della scritta sul cartello e quell’”Italia” a caratteri cubitali. A questo proposito viene da chiedersi: chi ideò e scrisse il cartello? Chi lo stampò? A quale tipografia si rivolsero i tedeschi? Quale fu il ruolo dei repubblichini?).
Studi specifici hanno dimostrato come i nazifascisti, nel tenere una macabra contabilità delle proprie azioni e degli eccidi compiuti, documentati e fotografati minuziosamente, cercassero da un lato una rappresentazione criminalizzante della Resistenza (volutamente descritta come composta sostanzialmente da emarginati e “delinquenti”) e dall’altro materiale da utilizzare per la propaganda e per terrorizzare le popolazioni.
Nel caso di Fondotoce entrambi gli aspetti sono ben presenti e certo la messa in scena avrebbe dovuto servire, al momento, come monito per gli abitanti della zona e, in seguito, come documento da pubblicare o riprodurre in manifesti o giornali. Non sappiamo per quale motivo alla fine le immagini non furono utilizzate per lo scopo per cui erano state fatte (forse perché alla lunga avrebbero potuto rivelarsi controproducenti), tuttavia sappiamo che sono giunte sino a noi grazie al fotografo Moscardelli, che aveva lo studio di fronte all’imbarcadero di Intra, e a cui fu richiesto perentoriamente di sviluppare un negativo in fretta e in assoluta riservatezza. Nonostante la sorveglianza di un soldato tedesco incaricato di vigilare sul materiale definito “segreto”, Moscardelli riuscì a fare le copie che oggi noi conosciamo.
Nell’immediato dopoguerra inizia un fiorente commercio delle fotografie della Resistenza e molte agenzie, molti reporter o fotografi professionisti vendono le immagini scattate riproducendole spesso in gran numero di copie. Quasi mai queste foto recano il nome dell’autore o il soggetto ritratto e in molti rivendicano la proprietà delle stesse.
Nel caso delle fotografie del corteo, la prima indicazione certa risale al 28 maggio del 1945, quando il CLN di Verbania autorizza il “Partito della Democrazia cristiana di questa città alla stampa delle fotografie dei 43 Martiri di Fondotoce da eseguirsi a Milano”. E’ interessante notare come il CLN rivendichi così la proprietà delle immagini e come ne esistano già allora più di una. La stessa autorizzazione verrà poi rilasciata, il 5 giugno successivo, al “Segretariato del popolo di Pallanza che potrà riprodurre le fotografie a titolo di beneficenza”.
I tre fotogrammi, visti e stampati in tutti i tipi di formato, rappresentano uno straordinario documento, uno di quegli irripetibili momenti che solo la fotografia riesce ad evocare e a fissare nella memoria individuale e collettiva: sono immagini destinate a restare per sempre come simbolo di barbarie e di riscatto, di inutile ferocia e di coraggio e dignità degli esseri umani.
La prima immagine, forse la più nota, è l’unica che ci mostra il volto di due dei carnefici. Sono sette i soldati nazisti presenti, di cui cinque portano fucili e mitragliatori. La divisa è estiva e, in primo piano, quello che sembra essere l’ufficiale comandante (il capitano della Feldgendarmerie August Burmeister? lo stesso che nel pomeriggio del 20 giugno verrà ucciso a Baveno in uno scontro con i partigiani di Franco Abrami?) sembra dare le disposizioni dell’”operazione”. L’immagine è statica, quasi una posa: le vittime guardano verso l’obiettivo come fossero state costrette a farlo. Solo Cleonice Tomassetti (e non Tommassetti o Tommasetti come spesso è stato scritto) ha il capo chino e la borsa tra le mani, in testa un foulard le copre il viso forse a nascondere i segni delle violenze subite. E’, probabilmente, l’immagine che nel dopoguerra ha alimentato la “leggenda” di Cleonice maestra elementare e incinta, quasi il suo sacrificio non fosse stato di per sé sufficiente a farla assurgere a Martire della Libertà. In realtà le testimonianze ci raccontano di una donna straordinaria, ci parlano di coraggio e dignità: io mi sono sempre chiesto cosa mai poteva contenere quella borsa (una semplice rete che lascia intravedere poveri involucri di carta o di stoffa) stretta tra le sue mani.
Chi sono gli altri? I due partigiani che reggono il cartello? Il ragazzo con il cappello d’alpino? Forse il ten. Rizzato? E tutti quelli in primo piano? In una delle tante didascalie pubblicate è scritto: “in seconda fila, sul lato destro del corteo, è il giovane Carlo Suzzi che sopravviverà miracolosamente all’eccidio e riprenderà il suo posto in formazione con il nome di battaglia Quarantatre”. Forse, anche se Carlo Suzzi ha testimoniato d’essere stato al centro del corteo vicino al ten. Rizzato.
Abbiamo detto che gli unici protagonisti della scena sono le vittime e i carnefici, ma mentre ci chiediamo chi c’era al di qua dell’obiettivo oltre al fotografo, ecco che a destra proprio dietro a due dei soldati tedeschi c’è un testimone: probabilmente un ragazzo in calzoncini corti e maglietta bianca. Chi era costui?
La seconda immagine è certamente la meno nota e quella che ci è arrivata in condizioni peggiori. Spesso è stata riprodotta tagliata sia sul margine sinistro che su quello destro. La scena non è statica, tutti stanno camminando. L’ordine della fila è lo stesso, ma poiché sono in movimento, sono meno compatti, il che consente di notare alcuni visi di partigiani, nella fila centrale e anche nella terza, che nelle precedenti immagini risultavano nascosti. Sei sono i soldati tedeschi presenti, anche se in alcune riproduzioni due di essi, sulla sinistra, sono stati tagliati. Nel 1954, il Comitato onoranze per il decennale dei caduti della Resistenza nel Verbano la scelse per una cartolina commemorativa e, probabilmente, a quella riproduzione (Foto L. Morra di Pallanza) si deve il taglio a destra e a sinistra dell’originale.
Anche la terza immagine è molto famosa. I partigiani sono sul lungolago nello stesso ordine di prima: sono stati fatti fermare, il cartello non è più in alto e dritto. Cleonice volge leggermente il capo e tiene la borsa con una mano sola. Alcuni particolari ci mostrano la tensione, i visi spaventati, i volti tumefatti, qualcuno è scalzo. Sono solo tre i tedeschi che, armati, stanno controllando. Si notano i binari del tram.
Anche qui, però, una sorpresa: sul lato sinistro della foto, appena dietro al soldato tedesco, si scorgono due biciclette e, in fondo, confuse due figure indistinte. Altri testimoni?
La versione, diciamo, integrale della foto 2, la “variante” del titolo, ci è arrivata in un modo e in una forma davvero sorprendenti. Fu infatti pubblicata da “Resistenza unita” (l’originale o è stato restituito o è andato perduto perché l’archivio del giornale non lo conserva) sul n. 6 del giugno 1970 nell’articolo Il rastrellamento nel Verbano ed i 42 fucilati di Fondotoce, con una trascrizione di un volantino del CLN locale sulla strage. L’articolo non è firmato e racconta che la “foto variante del corteo, trovata addosso a un fascista della X Mas fucilato alla liberazione, reca sul retro elenco dei rastrellamenti a cui aveva partecipato” .
Questa affermazione farebbe presumere una circolazione delle fotografie (in che contesto non è dato per ora sapere) già nei mesi successivi alla fucilazione. Alcuni testimoni ricordano, ad esempio, che uno o più fotogrammi furono portati in Svizzera e probabilmente pubblicati (sinora però non è stato trovato riscontro).
Eccidio di Fondotoce § Tre foto e una variante