L'eccidio di Fondotoce

Il pomeriggio del 20 giugno 1944 quarantatré partigiani, arrestati nei giorni precedenti durante le operazioni di rastrellamento in Val Grande, vengono fucilati a Fondotoce dopo essere stati torturati e fatti sfilare in corteo da Intra. Dei quarantatré, il giovane Carlo Suzzi riesce miracolosamente a salvarsi: ferito, si mette in salvo aiutato dalla gente del posto.

La fucilazione dei partigiani vuole forse essere una vendetta per gli oltre quaranta fascisti del presidio di Fondotoce catturati il 30 maggio (e non uccisi) da una squadra del “Valdossola”, al comando di Mario Muneghina. Dopo l’eccidio, Fondotoce diventerà simbolo della Resistenza di tutta la provincia, rafforzando – anziché scalfire - il rapporto tra partigiani e popolazione e contribuendo a dare nuova linfa alla lotta per la Liberazione. 

Eccidio di Fondotoce

Gli eventi

I partigiani fucilati a Fondotoce vengono catturati durante il rastrellamento della Val Grande, in corso dall’11 giugno 1944. Appartengono tutti alla formazione “Valdossola” di Dionigi Superti, principale obiettivo del rastrellamento.

Alcuni di loro vengono fatti prigionieri il 17 giugno a Pian Laurasca. Dopo la cattura, attraverso la Val Loana (Val Vigezzo) vengono portati alla sede del comando tedesco di Malesco presso il locale asilo, nelle cui cantine in quei giorni vengono interrogate e torturate molte decine di partigiani catturati durante il rastrellamento.

«Ci portarono tutti in cantina – racconta il sopravvissuto Carlo Suzzi – una stanza di sei metri per cinque circa, bassa, umida, oscura, che prendeva appena luce da un finestrino largo e basso con le inferriate. Al centro c’era una lanterna. Da un lato una vasca di acqua ghiacciata e dall’altro una di acqua bollente dove immergevano a capriccio qualcuno di noi, per altri il supplizio inflitto era maggiore. Gli fissavano le mani con i morsetti su un tavolaccio. Poi gli conficcavano degli uncini legati a strisce di cuoio alla base delle unghie. E tiravano lentamente fino a strapparle».

Altri prigionieri catturati in Val Grande vengono, invece, trasferiti a Villa Caramora, a Intra, sede del Comando tedesco.

Tra questi Cleonice Tomassetti e Sergio Ciribi, appena giunti - il 14 o 15 giugno - in Val Grande da Milano con l’obiettivo di unirsi ai partigiani. Trascorsa la notte in una baita all’Alpe Bué, la mattina successiva si erano trovati in pieno rastrellamento. Arrestati e sottoposti a pesanti percosse e finte impiccagioni, vengono trasferiti prima a Rovegro (San Bernardino Verbano), poi a Verbania Intra, alle Scuole elementari femminili (nella Classe III B) e infine, il 20 giugno, a Villa Caramora. 

Ne è testimone il giudice di Verbania Emilio Liguori, anch’egli a Villa Caramora, arrestato nel suo ufficio perché sospettato di complicità con i partigiani.

«Verso le tre pomeridiane la porta della cantina si aprì e venne fatta entrare una trentina di persone, spinte avanti a calci e a colpi di canna di moschetto da una squadra di omacci inferociti, bestiali, i quali indossavano la cosiddetta onorata divisa militare del popolo eletto, dell’Herrenvolk, del superpopolo: il teutonico. La scena, che dopo l’ingresso in cantina di tanti disgraziati si presentò al mio sguardo, fu delle più penose alle quali io abbia mai assistito. […] I pugni, le pedate, i colpi di calcio di moschetto, le nerbate non si contavano più. Era una vera gragnuola, che si abbatteva inesorabile su dei miseri corpi già grondanti sangue per ogni dove, su dei visi già tumefatti per le percosse ricevute in precedenza. […] 

Una scena orribile, dicevo, con la quale contrastava la nobile serenità dei torturati. Non un grido, non un lamento. Una fierezza diffusa sui volti di tutti. […]».


Veduta di Rovegro



[CdR, Archivio digitale, Fondo Ballinari]

 

La mattina di martedì 20 giugno il gruppo di prigionieri detenuti a Malesco viene trasferito.

«Ci fecero firmare una dichiarazione in lingua tedesca»  racconta Suzzi. «Noi ne ignoravamo il contenuto. Poi subito la partenza. Fummo fatti salire e rinchiusi in un grande camion, interamente ricoperto da grossi teloni […].

La debolezza aveva attutito la nostra sensibilità, perciò non sentivamo più la fame. La sete invece continuava a roderci. Ammassati nel camion, che l’autista conduceva senza riguardo, ci sentivamo barullati come bestie condotte al macello.

Verso mezzogiorno giungemmo a Intra. Ci condussero proprio nel centro, davanti alla grande villa Caramora. Sul posto era pronto il plotone di esecuzione. Sembrava non volessero perder tempo. Ci fecero allineare sul lungolago del parco Cavallotti, con le spalle rivolte alle armi automatiche. Era incredibile come tutto fosse calmo. Le armi furono puntate, scattarono le sicure Considerai iniziata l’esecuzione. Ma improvvisamente un tedesco urlò dalla villa Caramora e ne discese le scale. Scambiò alcune parole con l’ufficiale che comandava il plotone. Le armi furono abbassate e rinacque in noi la speranza […]».

Al gruppo giunto da Malesco si uniscono alcuni prigionieri prelevati dalle cantine di villa Caramora, come testimonia ancora il giudice Emilio Liguori:

 « Lo spettacolo che stava per essere ammannito fu subito intuito dalla donna [Cleonice Tomassetti ndr]. Costei si levò in piedi e con fare spontaneo, senza forzare il tono della voce, direi quasi con amorevolezza, rivolta ai compagni di sciagura pronunciò queste testuali parole: "Su, coraggio ragazzi, è giunto il plotone di esecuzione. Niente paura. Ricordatevi che è meglio vivere da italiani che vivere da spie, da servitori dei tedeschi". Aveva appena finito di parlare che, infuriato, le fu addosso un soldato germanico che doveva capire un poco l'italiano o che del senso delle parole pronunciate era stato messo al corrente da un militare italiano. (Quale schifo il contegno servile verso i padroni tedeschi dei militi fascisti! Non di tutti per fortuna, perché ne vidi più d'uno fremere di rabbia osservando ciò che di orribile si compiva intorno a lui). La donna fu colpita atrocemente da più di uno schiaffo e da uno sputo sul viso. Non si scompose; incassò impassibilmente, e poi, fiera e con aria ispirata, quasi trasumanata, disse parole, che, per mio conto, la rende degna di essere paragonata a una donna spartana, o meglio ancora ad una eroina del nostro risorgimento: "Se percuotendomi volete mortificare il mio corpo, è superfluo il farlo: esso è già annientato. Se invece volete uccidere il mio spirito, vi dico che è opera vana: quello non lo domerete mai!". Poi, rivolta ai compagni: "Ragazzi, viva l'Italia, viva la libertà per tutti", gridò con voce squillante.»

Liguori e altri sono invece trattenuti e in serata verranno trasferiti alle scuole femminili, usate come carcere. Nella loro cella, la notte tra il 20 e il 21, entrerà anche un partigiano conosciuto il giorno prima a Villa Caramora: si tratta di Frank Ellis, che racconterà a Liguori di essere stato prima trasportato con gli altri a Fondotoce per essere fucilato, ma poi inspiegabilmente riportato a Verbania con altri due partigiani. 

Nel pomeriggio di martedì 20 giugno 1944 il gruppo di partigiani - nel corteo sono quarantasei, tre di loro verranno all’ultimo momento risparmiati – viene trasferito da Intra a Fondotoce. Fatti salire su alcuni camion, i partigiani sono costretti ripetutamente a scendere lungo il tragitto - a Intra, Pallanza e Suna – attraversando a piedi, in una macabra processione, i centri abitati. Due partigiani in testa al corteo portano un cartello su cui c’è scritto a caratteri cubitali: “Sono questi i liberatori d’Italia, oppure sono i banditi?”. 

 

[CdR, Archivio digitale, Fondo Ballinari]
 

Nei pressi del canale che congiunge il Lago di Mergozzo con il Lago Maggiore, i partigiani vengono fucilati tre alla volta. 

« Erano circa le sei di un pomeriggio afoso. Nuvole calde e soffocanti coprivano il cielo. Intorno una radura a prato con qualche sterpaglia. Eravamo vicino all'acqua dei canale che forma come una grande pozza, con intorno un canneto. Più lontano, a sinistra, la grande massa di acqua dei lago Maggiore e dall'altra, quasi in semicerchio, il Mottarone, Monte Orfano, Monte Acuto, la Valdossola, e più indietro ancora i contrafforti della Valgrande. Dodici tedeschi si schierano in piedi e altri dodici in ginocchio. Erano armati di fucili Mauser. Fecero alzare i primi tre partigiani e li discostarono dal plotone. Fra essi c'era la buona Cleonice. I tre si strinsero. Sentii gridare: "Facciamo vedere come sappiamo morire. Viva l'Italia". Poi una scarica ed i tre corpi caddero in direzioni diverse.

Venne la volta degli altri tre. La scena si ripeteva, con ritmo allucinante. I tedeschi compivano l'operazione come se fossero ad un mattatoio, e i partigiani non avevano gesti di ribellione, preoccupati soltanto di morire con dignità. Tutto durò diversi minuti perché i tedeschi avevano cura di rimuovere i corpi dei fucilati dal luogo ove erano stati abbattuti scaraventandoli da una parte verso l'acqua».

[dalla testimonianza del sopravvissuto Carlo Suzzi] 

 

Dei quarantatre, Carlo Suzzi riesce miracolosamente a sopravvivere e aiutato dalla gente del posto si mette in salvo. Tornerà poi nella formazione Valdossola con il nome di battaglia “Quarantatre”.


[CdR, Archivio digitale, Fondo Ballinari]