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Il rastrellamento della Val Grande (Operazione Köln)

La rilevanza strategica dell’Ossola e del Lago Maggiore, posti in territorio di confine, rende prioritario per la Germania l’avvio - nel quadro della controffensiva organizzata in tutto il Nord Italia - di una decisa repressione antipartigiana in quest’area: annientare le formazioni attestate sui monti del Verbano appare quanto mai urgente e decisivo di fronte all’accresciuto pericolo che le azioni di sabotaggio dei partigiani rappresentano per le vie di transito e di rifornimento.
 
Dopo aver isolato la zona compresa nel quadrilatero Piaggio Valmara, Pallanza, Masera, Val Vigezzo attraverso il blocco di ogni via di comunicazione (stradale, ferroviaria e lacustre), inzia in Val Grande un terribile rastrellamento, che dall’11 al 30 giugno vede contrapposti circa 5 mila nazifascisti ben armati ed equipaggiati contro non più di 450-500 partigiani, appartenenti alle formazioni “Valdossola”, “Cesare Battisti” e “Giovine Italia”. Nonostante il numero dei soldati coinvolti nell’operazione sia frutto di una stima approssimativa, appare verosimile ipotizzare un rapporto di 1:10 tra partigiani e nazifascisti.  

Il rastrellamento è coordinato dal comando SS di Monza sotto la direzione del tenente colonnello Ludwig Buch (comandante del 15° SS-Polizeiregiment) e vede impegnati, nelle fila tedesche, la 236a divisione di fanteria giunta dal fronte italiano, affiancata da un battaglione di SS Polizei e da reparti della polizia confinaria; le truppe fasciste sono composte dalla GNR di frontiera, da reparti GNR speciali (legione d'assalto ‘M’ Tagliamento, III battaglione d'assalto Pontida, gruppo corazzato Leonessa) e da reparti della X MAS (battaglioni Scirè e Castagnacci).
 
Una spietata caccia all’uomo che, pur nell’assoluta disparità di mezzi e uomini (le truppe nazifasciste sono bene armate, con batterie di cannoni e mezzi blindati e l’ausilio di aerei), si rivela per il nemico meno facile del previsto: ovunque i partigiani lottano con coraggio, supportati dalla popolazione locale.

Le operazioni in montagna terminano di fatto il 22 giugno con l'eccidio di nove partigiani e due alpigiani all'alpe Casarolo, in alta Val Grande. La repressione continua tuttavia nei villaggi ai piedi dei monti, con le fucilazioni dei partigiani catturati.

 
Durante i venti giorni di rastrellamento cadono in combattimento o sotto le fucilazioni quasi 300  fra partigiani e civili; il "Valdossola", principale obiettivo del rastrellamento, viene  decimato (220/240 morti su 300 partigiani in formazione ai primi di giugno); molti sono i dispersi e le vittime rimaste senza un nome, soprattutto tra i numerosi giovani appena giunti in Val Grande dalla Lombardia - e quindi non ancora registrati sui ruolini delle formazioni partigiane - in seguito all'ultimatum di chiamata alle armi della Repubblica Sociale Italiana, scaduto il 25 maggio.

Il rastrellamento della Val Grande segnerà profondamente il territorio - sconvolto dalla distruzione e dall’incendio di case, baite, e alpeggi che ne muteranno in maniera irreversibile la fisionomia – e segnerà altrettanto profondamente il movimento partigiano, che uscirà quasi distrutto da questa prova.
 
La vittoria nazifascista si rivelerà tuttavia solo apparente: la spietatezza e la ferocia con cui i nazifascisti si sono accaniti - con torture, esecuzioni sommarie, incendi e saccheggi - contro i partigiani e la popolazione civile daranno nuovo vigore alla lotta partigiana: ai pochi sopravvissuti si aggiungeranno nuove reclute e solo tre mesi dopo i partigiani della ricostituita Divisione "Valdossola" - vittima principale del rastrellamento di giugno - con la "Valtoce" e il contributo della Divisione “Piave”, saranno i protagonisti della liberazione dell'Ossola.
 
[CdR, Archivio digitale, Fondo R. Ballinari]
[CdR, Archivio digitale, Fondo R. Ballinari]
[CdR, Archivio digitale, Fondo R. Ballinari]

 

Eccidio di Fondotoce § Rastrellamento della Val Grande