Ravenna
54 anni
Nato a Ferrara, terzo di sei figli, era stato da giovane un ginnasta della famosa "Palestra Ferrara" e aveva partecipato alle Olimpiadi di Londra del 1908. Compì studi tecnici. Sposò Letizia Rossi, figlia di un noto commerciante di Ferrara, da cui ebbe tre figli: Franca Eugenia, Eugenio (detto Gegio) e Marcello Renzo. Gestiva un deposito alimentare di sua proprietà, in via Bologna a Ferrara, e un distributore di benzina (fu tra i primi in città ad avere l'automobile). La famiglia Ravenna era una famiglia laica e non impegnata in politica (l'unico della famiglia a svolgere attività politica fu Renzo, fratello di Gino, dal 1926 al 1938 podestà di Ferrara).
Nell'incertezza seguita all'armistizio dell'8 settembre 1943, Gino sfollò con la famiglia in campagna, ad Albarea.
Durante tre giorni di retate, primo duro e preoccupante segnale antisemita della RSI a Ferrara, l'8 ottobre 1943 il figlio maggiore, Gegio, venne arrestato con altri quattro ebrei ed alcuni antifascisti.
Da questo momento la situazione precipitò, con l'intensificarsi di rastrellamenti e deportazioni di ebrei. Dopo aver tentato più volte invano di liberare il figlio Gegio, Gino si decise a lasciare Albarea con la moglie e i due figli Franca e Marcello. Con loro la cognata Milena Rossi e le giovani nipoti Novella e Amelia Melli.
Dopo una tappa a Bergamo, dove abitava il fidanzato della figlia Franca Eugenia, Gino Ravenna e la sua famiglia giunsero in Ossola nel dicembre 1943 con l'obiettivo di espatriare clandestinamente in Svizzera.
L'intera famiglia riuscì ad oltrepassare il confine, ma venne respinta dalle guardie elvetiche, secondo quanto testimoniato da Eugenio "Gegio" Ravenna che incontrò successivamente i famigliari nel carcere di Ferrara (Gegio fu l'unico della famiglia a sopravvivere alla Shoah; rientrò a Ferrara il 15 settembre 1945).
Dopo il fallito tentativo di fuga in Svizzera, Gino Ravenna e la sua famiglia tornarono a Domodossola e, sfiniti, presero alloggio in un albergo della città; dopo poche ore, l'11 dicembre 1943, vennero arrestati e rinchiusi nelle locali carceri, come documentato dal verbale della polizia in data 12 dicembre.
Da qui Gino Ravenna e famiglia vennero trasferiti il 19 dicembre 1943 al carcere di Ferrara, dove si ricongiunsero a Gegio (arrestato l'8 ottobre). Il 12 febbraio 1944 vennero poi trasferiti tutti al campo di Fossoli.
Il 22 febbraio 1944 Gino Ravenna, come il resto della famiglia, venne deportato da Fossoli ad Auschwitz.. Numero di matricola 174541.
Secondo la testimonianza del figlio Gegio Ravenna (numero di matricola 174542), deportato con la famiglia e unico tra loro ad essere sopravvissuto alla Shoah, giunsero ad Auschwitz alle otto della sera; le donne vennero separate dagli uomini. Gino e Gegio Ravenna rimasero insieme, mentre del figlio più piccolo, Marcello, persero le tracce.
Dopo due mesi dal suo arrivo al campo, Gino Ravenna si ammalò. Venne ucciso nelle camere a gas ad Auschwitz il 30 aprile 1944. Secondo quanto riportato da Picciotto Fargion sarebbe morto il 19 aprile 1944.
Paolo Bologna, Carceri e processi a Domodossola 1943-1945, in Bollettino storico della Provincia di Novara, 1995; Liliana Picciotto, Il libro della memoria, pg. 524, Mursia, 2002; Centro di documentazione ebraica contemporanea, www.nomidellashoah.it; Paolo Ravenna, La famiglia Ravenna 1943-1945, Corbo editore, 2001; Eugenio Ravenna, La forma del cranio, in Alberto Pacifici, Rina Macrelli, Il coro della guerra. Venti storie parlate, pp. 84-88.