L’Hotel Meina viene occupato dalle SS mercoledì 15 settembre 1943, tra le 9 e le 9,30 della mattina: le uscite vengono sbarrate e i sedici ebrei ospiti dell’hotel vengono identificati e rinchiusi, ammassati in un'unica stanza all’ultimo piano.
Alberto Behar, titolare dell’albergo, e la sua famiglia (la moglie Eugenia e quattro figli), ebrei con cittadinanza turca, vengono sequestrati insieme agli altri prigionieri.
Nelle prime ore del mattino Alberto Behar viene prelevato da due soldati tedeschi e condotto al comando di Baveno. L’intervento diretto del console turco - amico di famiglia e ospite presso la villa dei Behar a Meina in seguito al bombardamento della sede del consolato turco a Milano – impone ai tedeschi la liberazione del Signor Behar, minacciando di scatenare un incidente diplomatico (la Turchia era ancora un paese neutrale). Da quel momento i Behar, pur sotto sequestro, possono girare per l’albergo con l’assoluto divieto di uscire.
Dopo una settimana gli ebrei tenuti sotto sequestro vengono uccisi: 12, a gruppi di quattro, durante la notte del 22 settembre, 4 (Dino Fernanedez Diaz e i tre nipoti) la notte del 23. I loro corpi vengono gettati con zavorre nelle acque del lago, a qualche centinaio di metri di distanza del paese.
Alcuni corpi affiorano dopo il primo giorno e vengono riconosciuti da alcuni abitanti del luogo.
La famiglia Behar riuscirà a salvarsi trovando rifugio in Svizzera.